La cacciatrice vampirica dea della salute e della malattia/The hunter vampiric goddess of health and disease by Sara Ballini

Il mio viaggio alla scoperta di Sekhmet inizia con il Libro della vacca celeste, un testo funerario del Nuovo Regno (1539-1292 a.C.), che racconta una storia alquanto sorprendente.

“Ra, venendo a conoscenza della ribellione degli umani contro gli Dei, si incontrò con il Consiglio degli Dei. Decisero di convocare Sekhmet: la forza superiore che per calmare la ribellione sulla terra non aveva bisogno della manifestazione di nessun’altra forza.

Fu così che la Dea camminò tra gli uomini, distruggendoli e bevendo il loro sangue; in questo aspetto vampirico della Dea, vedo somiglianze con la Lilith ebraica e le divinità sumere che rappresentano il sincretismo: Ardat-Lilith, Kilili e anche Lamashtu.

Gli stessi dei egizi temevano il potere di Sekhmet e infatti, vedendo il massacro che stava compiendo tra gli uomini, si resero conto che non sarebbe mai finito fino allo sterminio della vita stessa.

Ra, che conosceva il potere delle piante, ne utilizzava alcune della famiglia delle Solanacee da cui si ricavano farmaci molto potenti (studi archeologici ed etnobotanici hanno rivelato che il prelato dell’antico Egitto utilizzava le piante psicoattive di seguito nominate per svolgere “l’al di là”: l’acqua giglio, mandragora e, forse, una specie di datura (Emboden, 1995). La mandragora era associata alle divinità Ra e Hator (Heinrich, 1918).

Non è noto quale di queste droghe Ra abbia inviato ad Heliopolis (importante città dell’antico Egitto capitale del XIII distretto del Basso Egitto) ma è possibile che queste siano state utilizzate nei rituali legati a Sekhmet per fermare epidemie o altri disastri. Il testo recita: “Il deserto fu macchiato di rosso sangue mentre l’Occhio inseguiva i traditori e li trucidava uno per uno. Non si fermò finché le sabbie non furono coperte di corpi. Poi, temporaneamente sazia, tornò trionfante dal padre per vantarsi dei suoi successi. “ Hathor-Sekhmet era una dea, alla quale bere procurava un enorme piacere. A questa divinità era infatti dedicato un rito chiamato “Festa dell’ubriachezza”, che si celebrava nell’Egitto greco-romano e prevedeva danze, musica e un consumo esagerato di bevande alcoliche. Ra quindi pensò di offrire alla figlia una bevanda che lei non poteva rifiutare: la birra, la bevanda egiziana per eccellenza. Aveva un pigmento rosso portato dal deserto (non è del tutto improbabile che fosse sangue) che fu macinato a Memphis e trasformato in una polvere fine. “Il pigmento rosso è stato poi mescolato con l’orzo e sono stati preparati 7.000 boccali di birra color sangue. Ra e gli altri dei esaminarono la birra color sangue e ne furono deliziati. “

Sekhmet pensò che fosse sangue (e forse lo era davvero) e iniziò a berlo senza misura: «Chinandosi vide il suo bel viso riflesso nel liquido e andò in trance. Dimenticando l’umanità, bevve la birra, rimase confusa e tornò da suo padre, ubriaca e soddisfatta. Ra accolse sua figlia in pace».

Ra era riuscito a salvare l’umanità, nonostante sua figlia lo avesse tradito. Ma per il vecchio dio «era impossibile perdonare le persone; non voleva più governare la Terra».

Pertanto è comprensibile dedurre che alla Dea fosse attribuito il potere di provocare malattie e di fermare epidemie, carestie e disastri.

L’aspetto predatorio della Dea è evidente e riflette la “crudeltà” dei cicli della Natura stessa che, per rigenerarsi, effettua costantemente una selezione perpetua che risulta incomprensibile dal punto di vista dualistico dell’uomo occidentale contemporaneo ma che va indagato se si vuole veramente capire le dinamiche dell’Universo e quindi imparare a dominarle.

Nella pratica della Magia Luciferiana questa maschera deifica mostra un forte istinto di protezione, questo è ciò che alcuni potrebbero chiamare giusta aggressione – per noi, qualcosa di diverso dalla pratica della “giustizia” dei cristiani. Ad esempio, in base al nostro sistema di valori, si ha un’elevata empatia per coloro che hanno guadagnato meriti : questo indica che il nostro sistema di valori fondamentali è collegato a quelli di Bastet e all’ombra ancora più forte di Sekhmet. Questo è un forte segno di lealtà, che è uno dei tratti che si possono possedere, spesso “seriamente” trascurati.

Allo stesso tempo con Sekhmet – come egiziano, assiro e soprattutto cananeo.

Sekhmet, come Anat (del Ciclo di Baal) si abbandona alla violenza come un tipo di piacere selvaggio, senza sensi di colpa quando giustificato.

La dea Anat è considerata da molti una manifestazione della dea Inanna/Ištar, che è probabilmente il risultato sincretistico della fusione di due diverse dee, una legata alla guerra, l’altra all’erotismo e all’amore libero.

I testi presentano Ištar alternativamente nel ruolo di un guerriero, esaltando le sue abilità in battaglia, e nel ruolo di un amante seducente. Si accentuano la sua intraprendenza e insubordinazione, che la portano, come accade anche per Anat, a persistere nelle sue attività bellicose, provocando, alla lunga, un tumulto poco gradito alle altre divinità:

[…] “E lei pensa solo alle imprese, e pensa solo a combattere.

[…] Fa più paura di un toro,

Quando scatena il suo ruggito!

Non può essere tenuta al guinzaglio.

Scapperà: è troppo forte! “

Ecco perché Ea il saggio

Si preoccupava:

Non era felice con lei

Ed era arrabbiato con lei”

In questa poesia, detta di Agušaya dal soprannome attribuito alla dea, Ea, stanca della natura caotica e violenta di Ištar, modella un personaggio che può agire da antagonista e crea così Ṣaltu, la discordia. È inevitabile notare le analogie con la condotta di Anat nel ciclo di Baal, dove sia El che Baal stesso si sforzano di porre fine alla sua furia guerriera.

Anche nella vittoria sugli Ebiḫ Inanna è ritratta nei panni di una guerriera combattente, impegnata a sottomettere un territorio che non le ha pagato gli onori dovuti e non le ha “mostrato alcun rispetto”.

Ancora più numerosi sono i testi che descrivono non (o non solo) il suo carattere marziale, ma la sua prorompente sensualità. Si sostiene addirittura che la sua violenza e il suo atteggiamento da guerriera siano semplicemente riflessi e conseguenze della sua natura ribelle e lasciva, che porta lo studioso ad attribuirle il ruolo di divina prostituta.

Sebbene ciò significhi ridurre una complessa figura divina a una semplice metafora sociale, l’intensa attività sessuale della dea è chiara. La documentazione include anche un inno alla vulva.

Una parte sostanziale della tradizione riguardante la dea è quella riguardante il rapporto d’amore con Dumuzi/Tammuz. Nei testi in cui ci viene presentata in Dumuzi in lutto ,e varie versioni del mito presentano Inanna/Ištar sia nel ruolo di un’amante vendicativa, che consegna la sua compagna agli Inferi, sia come emblema di compassione e lutto per l’amore perduto, , e nel prendersi cura della sua sepoltura. I riferimenti ad Anat che piange Baal e poi lo seppellisce nella sua montagna sorgono spontaneamente nella mente.

È interessante notare che, nonostante l’evidenza dell’erotismo esplosivo di questa dea mesopotamica, Ištar è raramente rappresentata anche come una giovane vergine, ancora adolescente e ignara dell’atto sessuale.

Di certo ciò non mette in dubbio il carattere erotico di questa divinità femminile, che, come abbiamo visto, è esplicitamente affermato in numerose fonti. Da notare la coesistenza di diverse rappresentazioni, da un lato l’adolescente ancora intatto, dall’altro la rappresentazione dell’erotismo portato all’eccesso, estraneo ai fini riproduttivi ed esercitato esclusivamente per il piacere personale. Non accade una cosa simile nel caso di Anat, per la quale gli studiosi si ostinano a prendere posizioni diametralmente opposte, trovando inconciliabili gli aspetti virginali della dea con quei testi (tra cui il poema di Aqhat) che sembrano suggerire il suo ruolo sessuale attivo?

Anche se gli abiti ei tratti maschili di Anat fossero solo simboli dell’identità della dea, sottolineerebbero ugualmente la sua marcata ambiguità di genere.

È questa incertezza che crea un forte squilibrio, diventando una minaccia per il genere maschile, alla ricerca della figura sottomessa e rassicurante rappresentata dall’ideale di donna dell’epoca. Allo stesso modo Istar, combinando l’indole guerriera con la sua potente forza seduttiva, costituisce un pericolo per l’uomo che desiderava.

Una delle scene più famose che delineano il carattere lussurioso e dissoluto della dea è quella del suo dialogo con Gilgameš, in cui l’eroe, rifiutando la sua offerta amorosa, motiva la sua decisione affermando il pericolo della dea nei confronti dei suoi amanti e di tutti gli uomini che hanno sofferto a causa sua e della sua infedeltà:

“A quale dei tuoi amanti sei rimasto fedele?

Quale dei tuoi orgogliosi fidanzati è salito [in paradiso]?

Vieni!

Ti ricorda [mi farò uno per uno] i tuoi amanti, quelli che hai ardentemente posseduto”

In conclusione, la figura di Anat presenta molti riferimenti all’erotismo, che la avvicinano al carattere mesopotamico di Ištar. Tali riferimenti sono spesso complicati dalla difficoltà del testo e dalle numerose possibili interpretazioni che se ne possono dare. Le fonti, però, non sono sufficienti per opporre un netto rifiuto alla possibilità che nella richiesta di Anat ad Aqhat si nasconda una seducente proposta d’amore. Come afferma Xella nella sua lettura del poema, “l’ipotesi è […] sostenibile, anzi , in questo caso, sembrano coesistere fianco a fianco – come mezzo per ottenere l’arco – da una parte l’offerta di (argento e oro) l’immortalità, dall’altra, quella del rapporto amoroso con la dea.

“Lo studio dell’identità sessuale di Anat ha spesso messo in ombra una sua ulteriore caratteristica fondamentale: la dea , senza dubbio, non è solo una guerriera, ma anche una cacciatrice. Non solo è sicuramente legata all’attività di caccia nel contesto di Aqhat, che è invitata da lei a una battuta di caccia, ma compare anche nel ruolo di cacciatrice in altri testi. Ad esempio, in KTU 1.114, che narra l’ubriachezza di El per introdurre un incantesimo contro i postumi dell’ubriachezza, Anat lascia il banchetto del dio per andare a caccia.

È quindi garante dell’ordine in vigore nel mondo animale, in un contesto selvaggio che separa la caccia da un’attività come l’agricoltura, praticata nell’ambiente civile e urbano. Dobbiamo considerare questo aspetto, tanto trascurato quanto cruciale, nell’affrontare un testo come quello di Aqhat. Anat, dea della caccia, chiede al cacciatore un arco, non solo simbolo erotico, ma anche potere maschile, ma anche, al primo semplice livello di evidenza , uno strumento di caccia.

Quello che dobbiamo chiederci è se in questo caso Anat, in quanto dea della caccia e padrona degli animali, abbia una funzione particolare nell’uccisione di Aqhat e se ciò possa essere motivato non (o non solo) dal rifiuto dell’amore, ma anche dal comportamento del figlio di Danil come giovane cacciatore.

Occorre quindi indagare se c’è e qual è la colpa (o le colpe) del giovane Aqhat, punito con la morte dalla dea con l’approvazione del padre El.

Non è facile comprendere appieno le ragioni della morte dell’eroe da cui il poema prende il nome. È colpa di Aqhat stesso, dell’avidità insensata di una dea abituata a ottenere tutto ciò che vuole, o di entrambe le cose?

Purtroppo il testo non è dalla nostra parte, poiché l’ingresso in scena di Anat è un punto piuttosto controverso e incompleto dell’opera. Tutto sembra accadere piuttosto in fretta: Anat vede l’arco, lo desidera e lascia cadere a terra il bicchiere di vino che stava bevendo. L’ambientazione è quella di un banchetto, con formule tipiche che indicano il consumo di cibi e bevande.

Dopo aver notato l’arco, la dea cerca immediatamente di ottenerlo offrendo ad Aqhat oro e argento in cambio dell’arma.

La prima risposta di Aqhat non soddisfa la dea né ferma il suo desiderio. Così Anat gioca una seconda carta, offrendo ad Aqhat non più ricchezza, ma addirittura l’immortalità, che il giovane rifiuta sprezzantemente. Il secco no di Aqhat e la sua accusa contro la dea si riferiscono alla scena analoga nel poema di Gilgameš. Ma se in Gilgameš è esplicito il desiderio sessuale di Istar, per cui l’eroe la aggredisce verbalmente ricordandole i suoi tradimenti, in Aqhat il tema amoroso, pur non assente, è meno evidente. Anche l’eroe ugaritico vede l’inganno che si cela dietro le parole della dea, ma il suo discorso si concentra sulla consapevolezza della propria mortalità, che anche Gilgameš raggiungerà nella sua ricerca dell’impossibile sconfitta della morte. Aqhat sa che deve morire come tutti gli altri e anche in questa affermazione potrebbe esserci un’offesa ad Anat: l’eroe, infatti, anche solo dichiarando la sua inevitabile mortalità, potrebbe aver offeso la dea perché non la crede capace di assicurargli veramente la vita eterna. Questo brano è interessante anche dal punto di vista letterario e gioca sul contrasto tra l’area semantica della morte e quella della vita, tra l’umano e il divino. Quindi il paradosso della morte di Aqhat è ancora più evidente e sconvolgente: lui, il figlio tanto desiderato, dovrà essere seppellito da Danil, che sperava di poter sconfiggere la morte lasciando i suoi discendenti sulla terra.

Ma Aqhat non si ferma al rifiuto dell’immortalità. Raggiunge il suo apice nelle ultime parole pronunciate dal giovane, che supera sminuendo la dea Anat, dicendole che gli archi non sono per le donne. Il confronto è quello tra un cacciatore e una cacciatrice, che, con il suo ruolo attivo nella caccia, travalica i confini del genere, generando ambiguità.

Anat si riconosce quindi più che mai in una cacciatrice.

Valutiamo il concetto cananeo di “dea cacciatrice” e “dio cacciatore”, confrontandolo con quello di altre culture.

Nell’antica Grecia, più che nel Vicino Oriente, si assiste al proliferare di un tipo di mito che vede come protagonisti un cacciatore e una cacciatrice, “il mito del cacciatore e della cacciatrice”, studiato in dettaglio da Fontenrose. Vi appare spesso Artemide, per molti aspetti analoga ad Anat, o un’Afrodite dedita alla caccia. Ciò che accomuna questi miti è anche la tragica fine dell’eroe, morto per mano della dea stessa o per l’inganno di un dio geloso. Uno degli esempi più famosi, spesso paragonato ad Aqhat dagli studiosi, è il mito di Orione, che presenta numerose varianti. Secondo una tradizione, Orione è figlio di Ireo, al quale è stato concesso dalle divinità, come accade per Danil. Come narra Ovidio nei Fasti, Giove, Nettuno e Mercurio, girovagando con sembianze umane, si imbattono in Ireo, un contadino (in altre versioni un re). Lui

offre loro ospitalità e per ricompensarlo Giove gli dice che può avere quello che vuole. Quindi Ireo chiede e ottiene un figlio, Orion.

Orione ha numerose vicissitudini che sfuggono al nostro interesse. Tuttavia, è importante soffermarsi sulla sua morte, causata, a seconda delle versioni, da agenti diversi. Nell’Odissea, secondo Calipso, Artemide uccise Orione perché era l’oggetto dell’amore della dea Eos.

Artemide agì allora per volere di tutti gli dei, oltraggiata dall’amore tra un mortale e una dea. Anche Apollodoro fa uccidere Orione da Artemide, ma le ragioni sono diverse.

Ci sono due versioni dell’indignazione di Orione: o ha scalzato Opis, la compagna di Artemide o forse Artemide stessa, oppure ha sfidato Artemide a una gara con il disco, peccando per aver pensato di poter battere la dea. Un’altra versione presenta Orione come il compagno di caccia della dea, che è innamorata di lui. Questa volta è Apollo a volere la morte del giovane, il quale, geloso, lo fa uccidere da Artemide con un inganno.

In ulteriori varianti, però, secondo Nigidio si vanta di essere un cacciatore migliore di Artemide, mentre secondo Esiodo il cacciatore si esalta davanti ad Artemide e Latona dicendo che ucciderà tutte le bestie della terra, ed è Gea a essere offesa.

In un’altra versione a sentirsi indignati sono gli stessi Artemis e Latona, che mandano Skorpios ad uccidere Orion. Skorpios entrerà a far parte del firmamento così come Orione, dopo la sua morte.

Date le numerose somiglianze con Aqhat, ciò ha portato all’ipotesi della castrazione dopo la morte anche per l’eroe ugaritico. Quello che più interessa sottolineare del mito di Orione è la presenza di varie trame parallele, che si contraddicono e si compenetrano. Lo stesso avviene infatti ad Aqhat, per cui il dibattito tra gli studiosi ha portato alla luce ipotesi diverse ma non necessariamente esclusive.

Anat punisce Aqhat per la sua indignazione, perché crede di essere un cacciatore migliore solo perché è un uomo. Nel frattempo, però, sembra che il desiderio di Anat sia di natura amorosa, come si evince dal testo.

Molto controversa è anche la scena del lamento di Anat dopo la morte del giovane. Perché la dea piange? Non voleva ucciderlo? O è semplicemente frustrata dalla perdita dell’arco, che a quanto pare si rompe in seguito all’omicidio?

Per chiarire il rapporto tra la dea e il cacciatore non mancano ulteriori esempi nella mitologia greca. Non voglio qui dimostrare la derivazione di una mitologia da un’altra o comunque uno stretto legame tra i miti greci e Aqhat.

Lo scopo è invece quello di ricercare motivi comuni nei miti, la cui presenza è dovuta più alla natura umana e alla storia (che è generata dal mondo umano) che a un rapporto diretto tra le due specifiche tradizioni. Con quest’aspetto ne coesiste un altro caratterizzato da una profonda lealtà al Dio Baal.
Su Anat esistono diversi miti. Un mito narra che Anat e Ba’al vinsero un combattimento e invitarono gli sconfitti ad un banchetto. Anat si presentò coperta di porpora e sbranò i superstiti del combattimento. Un altro mito narra che Anat si trasformò in bufala e partorì mucche e tori.
In un altro mito ancora Anat resuscita l’amato sposo Ba’al e ne vendica la morte uccidendo Mot.
Anat compare al fianco di Baal in numerosi testi, in cui spesso agisce a favore di quest’ultimo. In questo articolo analizzerò il suo ruolo nel ciclo di Baal, di fondamentale importanza per l’ascesa del dio, nonché le tavolette in cui molti hanno voluto vedere l’accoppiamento di Baal e Anat sotto forma di giovenca.
Anat è nominata per la prima volta nel ciclo di Baal quando El le invia un messaggio per convocarla al suo cospetto e le intima di cessare la sua attività bellicosa e di portare pace e concordia sulla terra.
Ma Anat entra realmente in scena nel poema in seguito alla sconfitta di Yam, quando compie un vero e proprio massacro in due città non meglio identificate. In un furore macabro e violento Anat appare adornata con le teste dei suoi nemici, le loro mani mozzate appese alla cintura; le gambe della dea sono immerse nel sangue versato delle sue vittime.
Tale rappresentazione fa comprendere come mai Anat sia frequentemente associata a Kali, anch’ella adornata in maniera analoga, con una collana di teste umane, una cintura di mani amputate e cadaveri di bambini come orecchini. In seguito alla strage, Anat torna nella sua residenza, dove continua il bagno di sangue fino alla sazietà. Alcuni hanno voluto interpretare questo passaggio come un rito di fertilità. Tuttavia, d’accordo con Walls, è possibile che l’episodio svolga semplicemente la funzione di introdurre il personaggio di Anat, una delle cui prerogative è proprio quella della violenza e della brama di battaglia. Come vedremo, trattandosi di una figura femminile, questa sua caratteristica contribuisce a determinare l’attrito tra i suoi tratti femminili e maschili: la donna, tipicamente sposa e madre, dà la vita e non la toglie, come invece fa Anat, che anzi gode nel compiere stragi. Saziata la propria sete di sangue, Anat procede a purificare sé stessa e il proprio palazzo, per poi ricevere un messaggio da Baal. Questo è analogo a quello inviatole da El all’inizio del poema e, oltre a contenere l’invito di Baal, presenta delle istruzioni da parte del dio, forse perché la dea compia un rito di fertilità o più semplicemente perché cessi il suo exploit di violenza. Walls non ha torto nell’affermare che, però, l’euforia omicida di Anat è già terminata in precedenza, il che sottolinea la sua azione indipendente da Baal. Nel seguito del ciclo troviamo la dea Anat agire in favore di Baal e contro i suoi nemici. Sebbene non compaia nel conflitto con Yam, la cui sconfitta è attribuita a Baal con l’ausilio delle armi costruite per lui da Koṯar, quando si rivolge ai messaggeri del dio della tempesta Anat sembra rivendicare per sé il merito dell’annientamento di Yam.
Anat è la protagonista divina del poema:
“Non ho frantumato Yam, l’amato di El?
Non ho distrutto il fiume, il grande dio?”
È possibile che esistesse una versione del mito in cui Anat abbia contribuito all’annichilimento di Yam, ma non possediamo testimonianze al riguardo. In ogni caso, in seguito a questo episodio, Anat inizia ad agire significativamente nel ciclo, innanzitutto intercedendo per Baal affinché gli sia costruito un palazzo. In questo frangente, come vedremo analizzando il suo rapporto con il padre degli dèi, Anat si scontra con El, in una scena analoga a quella in cui, nel poema di Aqhat, la dea giunge presso il dio indignata dell’oltraggio subito e decisa a vendicarsi del mortale. Ma è solo dopo la scomparsa di Baal che il ruolo di Anat diviene fondamentale, quando cioè, con l’aiuto di Šapaš, la giovane dea va alla disperata ricerca del corpo del dio e gli conferisce degna sepoltura.
Vediamo qui una figura struggente e compassionevole, che di molto contrasta con l’immagine sanguinosa e cruenta alla sua entrata in scena.
Tale scena di lutto porta inevitabilmente alla mente motivi analoghi della letteratura vicino-orientale: il compianto di Dumuzi da parte di Inanna e Geštinanna e la ricerca di Osiride da parte di Iside e Nefti.
Non è secondario il fatto che in entrambi i casi si possa notare che a portare avanti il lutto compare una figura femminile con una stretta parentela con il defunto, il che supporta l’ipotesi che Anat sia sorella di Baal. In effetti è spesso definita aḫt del dio; tuttavia l’ambiguità del termine ha portato molti a considerarlo indicante non una parentela, ma un rapporto amoroso.
I tratti violenti della dea tornano in primo piano nella sua disfatta di Mot. Indipendentemente dai rimandi alla fertilità di alcuni studiosi, che hanno voluto vedere in Mot la personificazione del grano e nel suo annientamento, la preparazione alla semina, Anat svolge qui un ruolo fondamentale, che causerà il ritorno di Baal e il trionfo dell’ordine nella conclusione del poema. Così la dea Anat contribuisce in modo significativo a stabilire l’ordine cosmico nonché quello gerarchico, installando sul trono Baal.

In una prospettiva luciferiana è interessante osservare come gli aspetti che l’equilibrio delle divinità cacciatrici si fondino su un concetto fondamentale: la compassione non è per tutti, ma per chi la merita ed è capace di relazionarsi con il sacro femminino con rispetto stabilendo con esso una relazione paritaria che prescinde dal genere ma si basa sostanzialmente sulla lealtà e sul rispetto.

My journey to the Discovery of Sekhmet begins with the Book of the Heavenly Cow, a funerary text from the New Kingdom (1539-1292 BC), which tells a somewhat surprising story.

“Ra, learning of the rebellion of humans against the Gods, met with the Council of Gods. They decided to summon Sekhmet: the superior force that did not need the manifestation of any other force on earth to calm the rebellion.

Thus it was that the Goddess walked among men, destroying them and drinking their blood; in this vampiric aspect of the Goddess I see similarities with the Jewish Lilith and the Sumerian deities who represent syncretism: Ardat-Lilith, Kilili and also Lamashtu.

The Egyptian gods themselves feared the power of Sekhmet and in fact, seeing the massacre she was carrying out among men, they realized that it would never end until the extermination of life itself.

Ra, who knew the power of plants, used some of the Solanaceae family from which very powerful drugs are obtained (Archaeological and ethnobotanical studies have revealed that the prelate of ancient Egypt used the psychoactive plants named below to carry out ” ‘beyond “: water lily, mandrake and, perhaps, a kind of datura (Emboden, 1995). The mandrake was associated with the deities Ra and Hator (Heinrich, 1918)

It is not known which of these drugs Ra sent to Heliopolis (an important city of ancient Egypt capital of the 13th district of Lower Egypt) but it is possible that these were used in rituals related to Sekhmet in order to stop epidemics or other disasters. . The text reads: «The desert was stained with red blood as the Eye pursued the traitors and slaughtered them one by one. He didn’t stop until the sands were covered with bodies. Then, temporarily sated, she triumphantly returned to her father to boast of his successes. ‘ Hathor-Sekhmet was a goddess to whom drinking brought enormous pleasure. In fact, a ritual called “Feast of drunkenness” was dedicated to this deity, which was celebrated in Greco-Roman Egypt and included dance, music and an exaggerated consumption of alcoholic beverages. Ra therefore thought of offering his daughter a drink that she could not refuse: beer, the Egyptian drink par excellence. She had a red pigment brought from the desert (it is not entirely unlikely that it was blood) that was ground in Memphis and turned into a fine powder. “The red pigment was then mixed with the barley and 7,000 mugs of blood-colored beer were prepared. Ra and the other gods examined the blood-colored ale and were delighted. ‘

Sekhmet thought it was blood (and perhaps she really was) and she began to drink it without measure: ‘Bending down she saw her beautiful face reflected in the liquid and went into a trance. Forgetting humanity, she drank the beer, was confused and returned to her father, drunk and satisfied. Ra welcomed her daughter in peace ».

Ra had managed to save humanity, despite the fact that his daughter had betrayed him. But for the old god “it was impossible to forgive people; he no longer wanted to rule the Earth ».

Therefore it is understandable to deduce that the power to cause disease and to stop epidemics, famines and disasters was attributed to the Goddess.
The predatory aspect of the Goddess is evident and it reflects the “cruelty” of the cycles of Nature itself which, in order to regenerate itself, constantly carries out a perpetual selection that is incomprehensible from the dualist point of view of contemporary Western man but which must be investigated if we really want to understand the dynamics of the Universe and therefore, learn to dominate them.
In the Luciferian Magick practice this deific mask show a strong instinct of protection, this is what some might call righteous aggression – for us, something different than the “righteousness” Christians practice. For example, based on your value system, you have high empathy for those who have earned are deserving of such: this indicates your core value system is connected with those of Bastet and the even stronger shadow of Sekhmet. This is a strong mark of loyalty, which is one of the often “seriously” overlooked traits one may possess.

At the same time with Sekhmet – like Egyptian, Assyrian and especially the Canaanite.
Sekhmet, like Anat (of the Baal Cycle) indulges in violence as a type of savage pleasure, without guilt when warranted.
The goddess Anat is considered by many to be a manifestation of the goddess Inanna / Ištar, which is probably the syncretistic result of the fusion of two different goddesses, one linked to war, the other to eroticism and free love.
The texts present Ištar alternately in the role of a warrior, extolling her skills in battle, and in the role of a seductive lover. Her resourcefulness and insubordination are accentuated, which lead her, as also happens to Anat, to persist in her warlike activities, causing an uproar hardly pleasing, in the long run, to the other divinities:
[…] “And she thinks only of feats, And she only thinks of fighting.
[…] It scares more than a bull,
When she unleashes her roar!
She cannot be kept on a leash.
She will escape: she is too strong! “
That’s why Ea the wise
He worried:
He was not happy with her
And he was angry with her “
In this poem, said of Agušaya from the nickname attributed to the goddess, Ea, tired of Ištar’s chaotic and violent nature, models a character who can act as an antagonist and thus creates Ṣaltu, discord. It is inevitable to note the analogies with Anat’s conduct in the Baal cycle, where both El and Baal himself endeavor to end his warlike fury.
Even in the victory over the Ebiḫ Inanna is portrayed in the role of a warlike fighter, committed to subduing a territory that has not paid her due honors and has not “shown her any respect”.
Even more numerous are the texts which describe not (or not only) her martial character, but her bursting sensuality. It is even claimed that her violence and warrior attitude are simply reflections and consequences of her rebellious and lascivious nature, which leads the scholar to attribute the role of divine prostitute to her.
Although, this means reducing a complex divine figure into a simple social metaphor, the intense sexual activity of the goddess is clear. The documentation even includes a hymn to the vulva.
A substantial part of the tradition concerning the goddess is that concerning the love relationship with Dumuzi/Tammuz. The various versions of the myth present Inanna / Ištar both in the role of a vengeful lover, who delivers her companion to the Underworld, and as an emblem of compassion and mourning for lost love, in the texts in which she is presented to us in mourning Dumuzi. and in taking care of his burial. The references to Anat mourning Baal and then burying him in his mountain arise spontaneously in the mind.
It is interesting to note that, despite the evidence of the explosive eroticism of this Mesopotamian goddess, Ištar is rarely represented even as a young virgin, still an adolescent and unaware of the sexual act.
Certainly this does not cast doubt on the erotic character of this female divinity, which, as we have seen, is explicitly stated in numerous sources. What should be noted is the coexistence of different representations, on the one hand the adolescent still intact, on the other the representation of eroticism led to excess, extraneous to reproductive purposes and exercised exclusively for personal pleasure. Doesn’t a similar thing happen in the case of Anat, for which scholars insist on taking diametrically opposed positions, finding the virginal aspects of the goddess irreconcilable with those texts (including the poem of Aqhat) that seem to suggest her active sexual role?
Even if Anat’s men’s garments and masculine features were only symbols of the goddess’s identity, they would equally underline her marked gender ambiguity.
It is this uncertainty that creates a strong imbalance, becoming a threat to the male gender, in search of the submissive and reassuring figure represented by the ideal of a woman of the time. In the same way Istar, combining the warrior disposition with her powerful seductive force, constitutes a danger for the man she desired.
One of the most famous scenes that outline the lustful and dissolute character of the goddess is that of her dialogue with Gilgameš, in which the hero, refusing her amorous offer, motivates his decision by affirming the goddess’ danger towards her lovers and all men who have suffered because of him and his infidelity:
“Which of your lovers have you remained faithful to?
Which of your proud boyfriends has risen [to heaven]?
Come!
It reminds you [I will one by one] your lovers, those you have ardently possessed “
In conclusion, the figure of Anat presents many references to eroticism, which bring it closer to the Mesopotamian character of Ištar. Such references are often complicated by the difficulty of the text and by the numerous possible interpretations that can be given to it. The sources, however, are not sufficient to oppose a clear refusal to the possibility that in Anat’s request to Aqhat a seductive love proposal is hidden. As Xella states in his reading of the poem, “the hypothesis is […] sustainable, indeed they seem to coexist here side by side – as means to obtain the bow – on the one hand the offer of (silver and gold ) immortality , on the other, that of aloving relationship with the goddess “
The study of Anat’s sexual identity has often overshadowed a further fundamental characteristic: the goddess is undoubtedly not only a warrior, but also a huntress. Not only is it definitely related to the hunting activity in the context of Aqhat, who is invited by her to a hunting party, but also appears in the role of a huntress in other texts. For example, in KTU 1.114, which narrates El’s drunkenness to introduce a spell against the after-effects of intoxication, Anat leaves the god’s banquet to go hunting.
She is therefore the guarantor of the order in force in the animal world, in a wild context that separates hunting from an activity such as agriculture, practiced in the civilized and urban environment. We must consider this aspect, as neglected as it is crucial, in approaching a text like that of Aqhat. Anat, goddess of the hunt, asks the hunter for a bow, not only an erotic symbol, as well as male power, but also, at the first simple level of evidence, a hunting instrument.
What we have to ask ourselves is whether here Anat, as the goddess of the hunt and mistress of animals, has a particular function in the killing of Aqhat and whether this can be motivated not (or not only) by the refusal of love, but also by the behavior of son of Danil as a young hunter.
It is therefore necessary to investigate whether there is and what is the fault (or faults) of the young Aqhat, punished with death by the goddess with the approval of his father El.
It is not easy to fully understand the reasons for the death of the hero from whom the poem takes its name. Is it a fault of Aqhat himself, of the senseless greed of a goddess who is used to getting everything she wants, or both?
Unfortunately, the text is not on our side, since the entry of Anat on the scene is a rather controversial and incomplete point of the work. Everything seems to happen rather quickly: Anat sees the bow, longs for it and drops the glass of wine he was drinking to the ground. The setting is that of a banquet, with typical formulas that indicate the consumption of food and drink.
After noticing the bow, the goddess immediately tries to get it by offering Aqhat gold and silver in exchange for the weapon.
Aqhat’s first response does not satisfy the goddess or stop her desire. So Anat plays a second card, offering Aqhat no longer wealth, but even immortality, which the young man scornfully rejects. Aqhat’s sharp no and his accusation against the goddess refer to the analogous scene in Gilgameš’s poem. But if in Gilgameš the sexual desire of Istar is explicit, for which the hero verbally attacks her reminding her of her betrayals, in Aqhat the amorous theme, although not absent, is less evident. Even the Ugaritic hero sees the deception that lies behind the words of the goddess, but his speech focuses on the awareness of his own mortality, which Gilgameš will also reach in his search for the impossible defeat of death. Aqhat knows that he must die like everyone else and even in this statement there could be an offense against Anat: the hero, in fact, even just by declaring his inevitable mortality, could have offended the goddess because
he does not believe her capable of truly assure him eternal life. This passage is also interesting from a literary point of view and plays on a contrast between the semantic area of death and that of life, between the human and the divine. Thus the paradox of Aqhat’s death is even more
shocking: he, the much desired son, will have to be buried by Danil, who hoped to be able to defeat death by leaving his descendants on earth.
But Aqhat does not stop at the rejection of immortality. It reaches its apex in the last words spoken by the young man, who exceeds by belittling the goddess Anat, telling her that bows are not for women. The comparison is that between a hunter and a huntress, who, with her active role in hunting, crosses the boundaries of gender, generating ambiguity.
Anat therefore recognizes herself more than ever as a hunter.
Let’s evaluate the Canaanite concept of “hunter goddess” and “hunter god”, comparing it with that of other cultures.
In ancient Greece, more than in the Near East, there is the proliferation of a type of myth that sees as protagonists a hunter and a huntress, “the myth of the hunter and the huntress”, studied in detail by Fontenrose. Artemis often appears there, analogous to Anat in many respects, or an Aphrodite devoted to hunting. What these myths have in common is also the tragic end of the hero, who died by the hand of the goddess herself or by the deception of a jealous god. One of the most famous examples, often compared to Aqhat by scholars, is the myth of Orion, which has numerous variations. According to a tradition, Orion is the son of Ireo, to whom he was granted by the deities, as happens for Danil. As Ovid narrates in the Fasti, Jupiter, Neptune and Mercury, wandering around with human features, come across Ireo, a peasant (in other versions a king). He
offers them hospitality and to reward him Jupiter tells him that he can have whatever he wants. So Ireo asks and gets a son, Orion.
Orion has numerous vicissitudes that are beyond our interest. However, it is important to dwell on his death, caused, depending on the version, by different agents. In the Odyssey, according to Calypso, Artemis killed Orion because he was the object of the love of the goddess Eos.
Artemis then acted at the behest of all the gods, outraged by the love between a mortal and a goddess. Apollodorus also has Orion killed by Artemis, but the reasons are different.
There are two versions of Orion’s outrage: either he undermined Opis, Artemis’ companion or perhaps Artemis herself, or he challenged Artemis to a race with the disc, sinning for thinking he could beat the goddess. A further version features Orion as the hunting companion of the goddess, who is in love with him. This time it is Apollo who wants the death of the young man, who, jealous, has him killed by Artemis with a deception.
In further variants, however, according to Nigidius he boasts of being a better hunter than Artemis, while according to Hesiod the hunter is exalted in front of Artemis and Latona saying that he will kill all the beasts of the earth, and it is Gaea to be offended.
In another version to feel outraged are the same Artemis and Latona, who send Skorpios to kill Orion. Skorpios will become part of the firmament as well as Orion, after his death.
Given the numerous similarities with Aqhat, this led to the hypothesis of castration after death for the Ugaritic hero as well. What I am most interested in underlining about the myth of Orion is the presence of various parallel plots, which contradict and interpenetrate each other. In fact, the same happens in Aqhat, so the debate among scholars has brought to light different but not necessarily exclusive hypotheses.
Anat punishes Aqhat for his outrage, for believing he is a better hunter just because he is a man. In the meantime, however, it seems that Anat’s desire is of a loving nature, as reflected in the text.
The scene of Anat’s lament following the young man’s death is also very controversial. Why does the goddess cry? Didn’t she want to kill him? Or is she simply frustrated by the loss of the bow, which apparently breaks following the murder?
To clarify the relationship between the goddess and the hunter there is no lack of further examples in Greek mythology. I do not want to demonstrate here the derivation of one mythology from another or in any case a close link between the Greek myths and Aqhat.
The aim is instead to search for common motifs in myths, whose presence is due more to human nature and to the story (which is generated from the human world) than to a direct relationship between the two specific traditions.
With this aspect coexists another characterized by a deep loyalty to the God Baal.

There are several myths about Anat. A myth tells that Anat and Ba’al won a fight and invited the defeated to a banquet. Anat appeared covered in purple and tore the survivors of the fight to pieces. Another myth tells that Anat turned into a buffalo and gave birth to cows and bulls. In yet another myth Anat resurrects his beloved husband Ba’al and avenges his death by killing Mot.

Anat appears alongside Baal in numerous texts, in which she often acts in favor of the latter. In this article you will analyze her role in the cycle of Baal, of fundamental importance for the ascent of the god, as well as the tablets in which many have wanted to see the mating of Baal and Anat in the form of a heifer.

Anat is mentioned for the first time in the cycle of Baal when El sends her a message to summon her before her and orders her to cease her warlike activity and to bring peace and harmony on earth.

But she Anat concretely enters the scene in the poem following the defeat of Yam, when she carries out a real massacre in two unidentified cities. With a macabre and violent fury Anat appears adorned with the heads of her enemies, their severed hands hanging from her belt; the goddess’s legs are dipped in the spilled blood of her victims.

This representation makes us understand why Anat is frequently associated with Kali, also adorned in a similar way, with a necklace of human heads, a belt of amputated hands and the corpses of children as earrings. Following the massacre, Anat returns to her residence, where she continues the bloodbath until she is full. Some have wanted to interpret this passage as a fertility rite. However, according to Walls, it is possible that the episode simply serves the function of introducing the character of Anat, one of whose prerogatives is precisely that of violence and lust for battle. As we will see, being a female figure, this characteristic contributes to determining the friction between her feminine and masculine traits: the woman, typically wife and mother, gives her life and does not take it away, as Anat does, who rather enjoys it. in carrying out massacres. Satisfied his bloodlust, Anath proceeds to purify himself and his palace, only to receive a message from Baal. This is analogous to the one sent to her by El at the beginning of the poem and, in addition to containing Baal’s invitation, presents instructions from the god, perhaps for the goddess to perform a fertility rite or more simply to cease her exploit of violence. Walls is not wrong in stating that, however, Anat’s murderous euphoria has already ended earlier, which underlines her action independent of her from Baal. Later in the cycle we find the goddess Anat acting in favor of Baal and against his enemies. Although she does not appear in the conflict with Yam, whose defeat is attributed to Baal with the aid of weapons built for him by Koṯar, Anat seems to claim credit for Yam’s annihilation when she addresses the messengers of the storm god.

Anat is the divine protagonist of the poem:

“Didn’t I shatter Yam, El’s beloved?

Didn’t I destroy the river, the great god? “

It is possible that there was a version of the myth in which Anat contributed to the annihilation of Yam, but we have no evidence in this regard. In any case, following this episode, Anat begins to act significantly in the cycle, first of all interceding for Baal to have a palace built for him. At this juncture, as we will see by analyzing her relationship with the father of the gods, Anat clashes with El, in a scene similar to the one in which, in the poem of Aqhat, the goddess comes to the god outraged by the outrage she has suffered and resolved to take revenge on the mortal. But it is only after the disappearance of Baal that the role of Anat becomes fundamental, that is, when, with the help of Šapaš, the young goddess goes in desperate search for the body of the god and gives it a worthy burial.

In this case we see a poignant and compassionate figure, which contrasts greatly with the bloody and gory image at his entrance on the scene.

This mourning scene inevitably brings to mind similar motifs from Near Eastern literature: the late Dumuzi by Inanna and Geštinanna and the search for Osiris by Isis and Nephthys.

It is not secondary that in both cases it can be seen that a female figure with a close relationship with the deceased appears to carry on mourning, which supports the hypothesis that Anat is Baal’s sister. She in fact she is often referred to as aḫt of the god; however, the ambiguity of the term has led many to consider it indicating not a kinship, but a love relationship.

The violent features of the goddess return to the fore in the defeat she inflicted on Mot. Regardless of the references to fertility by some scholars, who wanted to see in Mot the personification of wheat and its annihilation for the preparation for sowing, Anat here plays a fundamental role, which will cause the return of Baal and the triumph of order in the conclusion. of the poem. Thus, the goddess Anat contributes significantly to establishing the cosmic order as well as the hierarchical order, installing Baal on the throne.

From a Luciferian perspective it is interesting to observe how the aspects that the balance of the hunter deities is based on a fundamental concept: compassion is not for everyone, but for those who deserve it and are able to relate to the sacred feminine by establishing a relationship with it. equality regardless of gender but which is essentially based on loyalty and respect.

Bibliography:
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Sekhmet Offerings to the discerning eye an Egipyological medley in honor of Jack A Josephson
Ellen Fowels Morris, The Architecture of Imperialism Miliari Basese and The Evolution of Foreign Policy In Egipts New Kinddom Problem Der Agyotologie
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The Tomb of Ramsesses VI part I.
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Xella P., Una ”rilettura” del poema di Aqhat, Problemi del mito nel Vicino Oriente antico, Annali: Rivista del Dipartimento di Studi Asiatici e del Dipartimento di Studi su Africa e Paesi Arabi, Vol. 36, Supplemento N. 7, Istituto Universitario Orientale, Napoli, 1976.
Foto: Museo Egizio Torino – a cura di Kurtz Rommel.

L’archetipo del vampiro: Nietzsche e l’eterno ritorno (ITA – ENGL – ESP – PORT.)

L’archetipo del vampiro: Nietzsche e l’eterno ritorno

Anderson Salim Calil
Arte: Vicen Edu

Un’epidemia ha colpito l’umanità. L’uso della parola intende livellare il linguaggio in un automatismo. Oggi molte persone si sentono esauste e stressate, con una sensazione di mancanza di energia. Senza forza, non succede nulla nella tua vita e diventa più faticoso raggiungere i tuoi obiettivi. E se non fai nulla a tal riguardo, tale epidemia può peggiorare.

Con l’ascesa delle religioni, il gregge era dominato dalla parola. Questo ci ha semplicemente mostrato la necessità della gerarchia e dell’aristocrazia.

Friedrich Nietzsche: Così parlò Zarathustra

“Così parlò Zarathustra” (1885) costituisce un attacco al cristianesimo per aver corrotto l’umanità pervertendo gli ideali del mondo greco antico. La distruzione di Dio rappresenta la costruzione del superuomo (“Il superuomo è il senso della terra. Vi esorto, fratelli miei, a rimanere fedeli al senso della terra e a non avere fede in chi parla di super-terreno speranze”) “Se ci fossero degli dèi, come potrei non essere Dio? Perciò non ci sono dèi.” Nietzsche afferma – in modo categorico – la morale cristiana è la morale degli schiavi (dei deboli e risentiti contro tutto ciò che è potente, nobile e aristocratico), i quali non avendo la forza di vincere i più forti, afferma che il piacere è peccato. La vera morale non è quella della compassione, ma della selezione: mettere fine alla speranza di una vita al di là, per vivere pienamente nel mondo di sotto (“la morale non sussiste quando non c’è Dio che la sancisca. L’aldilà è assolutamente necessario quando vuoi sinceramente mantenere la tua fede nella morale”)

In “Gaia Science” (1882), Nietzsche sostiene la morte di Dio (“che cosa è successo a Dio? Te lo dirò. L’abbiamo ucciso.”) con l’allontanamento della società occidentale dal divino. Per recuperare i valori umani della gioia di vivere è necessario sopprimere ogni significato soprannaturale.

Nietzsche afferma solo la volontà di accettare che la vita si ripeta in un eterno ritorno di tutte le cose: poiché il tempo è infinito e le forze dell’universo sono finite, il bel caos dell’esistenza è l’eterno ritorno periodico delle stesse cose (Volontà di potenza 1889) .

L’archetipo del vampiro

Un tipo essenziale di forma di giudizio è l’archetipo: la durata della vita di un archetipo non è legata al “tempo lineare”, né influenzata in alcun modo dai pensieri della società. Gli archetipi muoiono quando la civiltà a cui sono legati scompaiono

L’archetipo del vampiro ha generato un nuovo movimento di indagine e non solo ha posto nuove questioni, ma ne ha portate alla luce alcune molto vecchie. Nelle società tradizionali, l’uomo era un Essere immortale, un Dio incarnato. Giulio Cesare affermava di essere un discendente di Venere-Afrodite. Alessandro Magno affermava di essere il figlio di Amon, un dio egizio.

La maggior parte è ancora sedotta dalle forze archetipiche del vampiro. Esistono ed esercitano influenza fino a quando non sono confrontati e trascesi. Un ordine magico lo capisce e cerca di guidare i suoi adepti attraverso la Tradizione Vampirica.

Il vampirismo è una forma più raffinata di mangiare. È l’ascesa di Lucifero. Il praticante prende possesso del testamento prometeico. Il segreto del vampirismo è usare la conoscenza a proprio vantaggio. La via dell’auto divinizzazione. La sopravvivenza del più idoneo.

Inoltre, al di là dello scopo di questo articolo il vampirismo non è la fonte ultima, ma un canale per altre tradizioni.

Il vampiro si è evoluto, dalle sue pratiche rustiche, ha realizzato la possibilità di trarre vitalità con il respiro. La disciplina è metà della dottrina vampirica.
Arte por: Vicen Edu

The archetype of the vampire: Nietzsche and the eternal return

Anderson Salim Calil

An epidemic has hit humanity. The use of the word intends to level the language in an automatism. Many people today feel exhausted and stressed, with a feeling of lack of energy. Without strength, nothing happens in your life and it becomes more strenuous to achieve your goals. And if you don’t do anything about it, that epidemic can get worse.

With the rise of religions, the flock was dominated by the word. This simply showed us the need for hierarchy and aristocracy.

Friedrich Nietzsche: Thus spoke Zarathustra

“Thus Spoke Zarathustra” (1885) constitutes an attack on Christianity for corrupting humanity by perverting the ideals of the ancient Greek world. The destruction of God represents the construction of the superman (“The superman is the meaning of the earth. I urge you, my brothers, to remain faithful to the sense of the earth and not to have faith in those who speak of super-earthly hopes”) “If there were gods, how could I not be God? Therefore, there are no gods. ” Nietzsche states – categorically – Christian morality is the morality of slaves (of the weak and resentful against all that is powerful, noble and aristocratic), who, not having the strength to overcome the strongest, affirms that pleasure is sin. . The true morality is not that of compassion, but of selection: to put an end to the hope of a life beyond, to live fully in the world below (“morality does not exist when there is no God to sanction it. it is absolutely necessary when you sincerely want to keep your faith in morality “)

In “Gaia Science” (1882), Nietzsche argues for God’s death (“What happened to God? I’ll tell you. We killed him.”) With Western society’s distancing from the divine. To recover the human values ​​of joie de vivre it is necessary to suppress all supernatural significance.

Nietzsche only affirms the will to accept that life repeats itself in an eternal return of all things: since time is infinite and the forces of the universe are finite, the beautiful chaos of existence is the eternal periodic return of the same things (Will to Power 1889).

The archetype of the vampire

An essential type of form of judgment is the archetype: the lifespan of an archetype is not tied to “linear time”, nor is it influenced in any way by the thoughts of society. Archetypes die when the civilization they are linked to disappears

The vampire archetype spawned a new investigation movement and not only raised new questions, but brought some very old ones to light. In traditional societies, man was an immortal Being, an incarnate God. Julius Caesar claimed to be a descendant of Venus-Aphrodite. Alexander the Great claimed to be the son of Amun, an Egyptian god.

Most are still seduced by the archetypal vampire forces. They exist and exert influence until they are confronted and transcended. A magical order understands this and tries to guide its followers through the Vampiric Tradition.

Vampirism is a more refined form of eating. It is the rise of Lucifer. The practitioner takes possession of the Promethean will. The key to vampirism is to use knowledge to your advantage. The way of self-deification. Survival of the fittest.

Furthermore, beyond the scope of this article, vampirism is not the ultimate source, but a conduit for other traditions.

The vampire has evolved, from its rustic practices, has realized the possibility of drawing vitality with the breath. Discipline is half the vampiric doctrine.

O arquétipo do Vampiro: Nietzsche e o Eterno Retorno

Anderson Salim Calil

Uma epidemia atingiu a humanidade. O uso da palavra pretende nivelar a
linguagem em um automatismo. Na atualidade, muitas pessoas estão se
sentindo exaustas e estressadas, com a sensação de falta de energia. Sem
força, nada ocorre em sua vida e fica mais cansativo alcançar seus objetivos. E
se não fizer nada a respeito pode piorar.

Com o surgimento das religiões, o rebanho foi dominado pela palavra. Isso
meramente nos mostrou a necessidade de hierarquia e aristocracia.

Friedrich Nietzsche: Assim falou Zaratustra

“Assim falou Zaratustra” (1885) constitui um ataque ao cristianismo, uma vez
que corrompeu a humanidade com a perversão dos ideais do mundo grego
antigo. A destruição de Deus representa a construção do super-homem (“O
super-homem é o sentido da terra. Eu vos conjuro, irmãos meus, a que
permaneçais fiéis ao sentido da terra e não presteis fé aos que falam de
esperanças supraterrenas”) “Se houvesse deuses, como suportaria eu não ser
Deus? Portanto, não há deuses”. Nietzsche afirma – de forma categórica – a
moral cristão é a moral dos escravos (dos fracos e ressentidos contra tudo que é
poderoso , nobre e aristocrático), que não tendo força para vencer o mais forte,
afirma ser pecado o prazer. A verdadeira moral não é da compaixão , mas a da
seleção: acabar com a esperança de uma vida além, para se viver integralmente
no mundo do aquém (“a moral não subsiste quando falta um Deus que a
sancione. O além é absolutamente necessário quando se quer se conservar
sinceramente a fé na moral”)

“Gaia Ciência” (1882), Nietzsche sustenta a morte de Deus (“o que houve com
Deus? Eu vos direi. Nós o matamos.”), pelo afastamento da sociedade ocidental
em relação ao divino. É necessário suprimir todo sentido sobrenatural para
recuperar os valores humanos da alegria de viver

Nietzsche afirma unicamente a vontade de aceitar que a vida se repete num
eterno retorno de todas as coisas: sendo infinito o tempo e finitas as forças do
universo, o belo caos da existência é o eterno retorno periódico das mesmas
coisas (Vontade de Poder 1889).

O Arquétipo do Vampiro

Um tipo essencial de forma de julgamento é o arquétipo: a duração de
vida de um arquétipo não é atrelada a um “tempo linear”, ou afetada de alguma
forma pelos pensamentos da sociedade. Arquétipos morrem quando a
civilização que eles estão atrelados desaparecem
O arquétipo do Vampiro gerou um novo movimento de investigação, e
não somente propôs novas perguntas, mas trouxe à tona algumas muito antigas.
Nas sociedades tradicionais, o homem era um Ser imortal, um Deus encarnado.
Júlio César afirmava ser descendente de Vênus-Afrodite. Alexandre Magno
afirmava ser filho de Amón, um Deus Egípcio.
A maioria ainda é seduzida pelas forças arquetípicas do Vampiro. Eles
existem e exercem influencia até que sejam confrontadas e transcendidas. Uma
ordem mágicka entende isso, e busca guiar seus adeptos através da Tradição
Vampírica.

Vampirismo é uma forma mais refinada de alimentação. É a própria
ascensão de Lúcifer. O praticante, toma posse da vontade prometéica. O

segredo do vampirismo é usar o conhecimento ao seu favor. O caminho da auto-
deificação. A sobrevivência do mais forte

Também, o vampirismo não é a fonte final, mas um canal de outras
tradições além do âmbito deste artigo. O vampiro evoluiu, de suas práticas
rústicas, ele percebeu a possibilidade de retirar a vitalidade com a respiração. A
disciplina é metade da doutrina vampírica




“LE TENEBRE DI VARCOLACI” di Derek Dark – da “Giochi di Tenebra”

Di Derek Dark

Il bistrot era quasi vuoto a quell’ora mattutina, Grégoire fece un ultimo giro prima dell’arrivo dei primi clienti. Alle dieci arrivava David, suo impiegato da dieci anni. Grégoire amava il suo lavoro, lo prendeva molto sul serio, era più di un semplice “Limonadier” come diceva la borghesia. Il culo sulle labbra, era impegnato sulla maniglia, si dedicava alle pulizie davanti al bancone, dove presto sarebbero arrivati ​​i clienti abituali. Leggermente senza fiato a causa del suo sovrappeso, gli piacevano molto i salumi. Inoltre, abusava anche di alcol, soprattutto rosé. Il grasso delle sue braccia nude si muoveva in tutte le direzioni, l’eterno grembiule blu che metteva in mostra il ventre. Sulla spalla sinistra, un tatuaggio della testa di un lupo feroce, in contrasto con la testa calva e lo sguardo torvo di custode. La barba lunga, i baffi tagliati frettolosamente davano l’impressione di trascuratezza. Grégoire sentì la porta aprirsi senza guardare, sapeva che era Maurice. Un pensionato che si annoiava e attaccava con il rosso alle otto del mattino. Frequentava da cinque anni il “Petit Baigneur”, il nome del suo bar. Era in memoria dell’attore comico Louis de Funès che lo aveva battezzato così.

– ‘Buon giorno Gregory… la voce del vecchietto era pacata con il viso dalle guance cadenti e gli occhi tristi dietro gli spessi occhiali. Faceva continuamente schioccare la lingua nella sua bocca secca. Come al solito, si posizionò davanti al bancone, tamburellando con dita tremanti sulla fredda superfice.

– Ciao Momo… un po’ caldo… eh? Disse Grégoire conoscendo molto bene la risposta in anticipo. Ma non dovresti mai dare al cliente quella scaltra impressione di essere uno dei suoi bar base così odiato da tutti. Maurice abbozzò un sorriso quando vide Grégoire aprire una bottiglia e servirgli un bicchiere di vino. Il pensionato afferra il bicchiere, cercando di nascondere la sua avidità schiarendosi la gola. Quando vide Grégoire versarsi un bicchiere di rosé, si sentì improvvisamente più a suo agio, meno solo. Il tintinnio dei bicchieri scattava nelle prime ore del mattino mentre brindavano al loro vuoto interiore senza saperlo. Maurice si bagnò le labbra prima di bere un sorso, Grégoire lo inghiottì d’un fiato, rilasciando un ultimo sospiro. Dio, che bella sensazione, pensò guardando dalla finestra, come un guardone (tutte queste vite che sfilano in rue Mérimée. Quest’ultimo era un negoziante, il suo vicino era Paul il macellaio e di fronte un ristorante senza pretese. Come i suoi proprietari, che Gregory non poteva vedere.

– Ci sarà il sole… commentò Maurice, guardando i bicchieri allineati dietro il bancone, in attesa dei clienti, come dei bravi piccoli operai pronti per essere riempiti. Grégoire rispose con una banalità a questa frase, ripetuta più e più volte ogni mattina.

La porta si aprì, lasciando entrare una corrente d’aria fresca. Quando Gregory vide il personaggio che era appena entrato, non poté fare a meno di fissarlo senza muoversi. Alto, estremamente magro, aveva le guance scavate come i solchi di un campo arato. La sua mano sinistra con le dita ossute e storte era appoggiata su un bastone da spada con un pomo d’argento. Senza dire una parola, l’individuo procedette zoppicando fino alla sedia con schienale, il tavolo forniva una panoramica completa della stanza. Grégoire posò il bicchiere vuoto e fece il giro del bancone, lasciando che Maurice parlasse da solo. Mentre camminava verso il nuovo arrivato, scoprì che non poter attribuirgli alcuna età. Una volta arrivato vicino al tizio, vide il pallore del suo viso, le occhiaie sotto i suoi occhi. Occhi azzurri con una fissità inquietante, i bulbi oculari erano striati di rosso. Quest’uomo puzzava di morte a tre chilometri di distanza, pensò Grégoire, controllando il proprio imbarazzo. Non poteva essere molto vecchio, senza macchie sulle mani, senza rughe particolari, se non fosse per rughe a zampa di gallina e un cipiglio che lo faceva sembrare severo.

– Cosa posso portarti? Chiese Gregory, chiedendosi di cosa potesse soffrire quest’uomo. Quest’ultimo alzò lentamente su di lui gli occhi slavati. Le sue palpebre battevano appena, il suo sguardo si spostava incessantemente dall’angoscia alla sfida. Come se nei suoi pochi secondi si stesse svolgendo un combattimento titanico.

– Un doppio scotch… secco… rispose una voce roca, fredda e senz’anima. Un brivido salì lungo la schiena di Gregory che fu sorpreso di sentire un cattivo odore, quello di torba o di fango. Non poteva fare a meno di pensare a cose morte, senza vita e marce. Non gli era mai successo… tornando al bancone, era meno contento del solito. Era come se un soffio oscuro avesse appena spento la fiamma della speranza che era la sua forza. Mentre metteva le due dosi di alcol nel bicchiere quadrato, inarcò il petto per liberarsi da una rigidità alla schiena. Quando portò lo scotch al suo cliente, si accorse che stava fissando un punto nello spazio, si affrettò a mettere il bicchiere sul tavolo per tornare indietro. Il retro della stanza si era oscurato quando la luce in alto si era improvvisamente accesa. La sagoma risaltava nel chiaroscuro, come un uccello di cattivo auspicio. Grégoire prese il suo straccio e pulì il bancone, sebbene fosse pulito, per schiarirsi le idee. Maurice era al suo secondo drink quando una forte tosse, seguita da sputi, echeggiò dal fondo della stanza. Grégoire non poté sopprimere un’espressione di disgusto, accompagnata da un senso di colpa. In effetti questo pover’uomo doveva essere malato e ne fu turbato, si sentì egoista. Tuttavia, non aveva la forza di guardare alla fonte del rumore. Maurice gli rivolse lo stesso sorriso sciocco, lo stesso del solito, solo che oggi non sopportava niente. Il suo stomaco si contrasse, sospirò per scaricare lo stress. Nessuno lo aveva mai disturbato così tanto.

Patrick arrivò al bar, rallegrandolo con il suo solito picchiettio. Diverse casse di bottiglie erano poste sul suo carrello a mano, il fattorino era sempre puntuale.

– Ciao Greg… stai bene? Chiese con una certa preoccupazione, non aveva mai visto Grégoire così depresso.

– Va bene e tu? Balbettò quest’ultimo mentre prepara il caffè forte al fattorino.

– Tu… mi nascondi qualcosa! Disse Patrick, la sua altezza media e la sua muscolatura rafforzavano l’impressione di vedere un cubo per chi lo stava guardando. I suoi capelli castani di media lunghezza, mal livellati, una ciocca sulla fronte umida. La pelle spessa, bitorzoluta e luminosa sul suo viso poteva farlo sembrare sangue, cosa che non era. L’ereditarietà era l’unica responsabile, solo il suo sorriso dava fascino ai suoi lineamenti. La caffettiera sibilò, gocciolando nella tazza. Mettendolo sul bancone, non poté fare a meno di dare una rapida occhiata al retro. Patrick si voltò e non vide subito la figura curva seduta davanti a un bicchiere vuoto.

– E allora ? Uno nuovo… sbottò, alzando le spalle.

-Non l’hai visto da vicino… sembra un morto… puzza perfino di cadavere… Che schifo! Grégoire rispose, accompagnando le sue parole con un gesto della mano, come se stesse inseguendo una mosca davanti a sé. Sorpreso dal nuovo atteggiamento del proprietario, si ritrovò a guardare un po’ meglio il nuovo arrivato. Un’impressione di nevrastenia emanava dal personaggio, poiché ipnotizzato, non poteva resistere alla tentazione di avvicinarsi. Il suo sorriso si ritrasse quando vide la lividezza della carnagione, la mano ossuta e tremante appesa al bicchiere, le labbra socchiuse che tremavano. Lo sguardo sembrava perso in un’altra vita, Patrick mentre tornava al bancone deglutì nervosamente.

– Qual è il suo problema? Il fattorino chiese piano, meno allegro. Grégoire ingoiò un bicchiere di rosé con un’espressione abbattuta.

– Non lo so… d’altronde, da quando è entrato… la gioia è fuggita… come i soliti clienti che venivano dopo Maurice… sussurrò il titolare del bar, sporgendosi in avanti. Patrick si ritrovò a chiedersi se questo sconosciuto potesse sentirli. Non poteva trattenere una schiera di pensieri morbosi, in cui regnavano solo la malattia e la decrepitezza. Gli tornò in mente la morte del padre, un sordo dolore emotivo che credeva guarito con il tempo… prese la sua tazza e bevve il caffè, dimenticandosi di addolcirlo, emise un brontolio seguito da una faccia disgustata.

– Te ne faccio un altro… è per me… vuoi mettere via le bottiglie, ho un terribile mal di schiena… pregò Grégoire.

– È nuovo? Il fattorino concluse dando un’ultima occhiata allo sconosciuto prima di prendere in mano il diavolo per andare al ripostiglio.

David entrò proprio in quel momento, già le dieci! Il suo eterno aspetto adolescenziale, un po’ da “James Dean”, diede a Grégoire una ventata di freschezza.

– Ciao capo! Andiamo per una giornata infernale! L’impiegato fu sorpreso dall’assenza dei soliti clienti, tranne Maurice. E poi vide lo sguardo abbattuto di Grégoire mentre lanciava un’imprecazione.

– Stanco, capo? disse dall’alto dei suoi venticinque anni, cosa che infastidì ancora di più Gregory.

– Se vuoi prenderti cura del cliente in fondo… sospirò il proprietario, versandosi un nuovo bicchiere di rosato, seguito da un altro rosso per Mauritius. David si passò una mano tra i capelli biondi con deliberata nonchalance, difficile distinguere il cliente. Tuttavia, vide la lampadina spenta e decise di sostituirla. Passando in cucina, prese il suo apribottiglie e il suo taccuino prima di mettersi il grembiule intorno alla vita. Frugando in un armadio, trovò una nuova lampadina, afferrò la scala a pioli.

Patrick, accovacciato, stava finendo di riporre le bottiglie in cantina. La lampadina sfrigolò sopra di lui, pensò di sentire una presenza dietro la sua schiena, si voltò velocemente per scoprire di essere solo. La cantina era grande, a volta, con mattoni rossi. Gli armadietti allineati tra le ragnatele. La lampadina si era spezzata. Il ragazzo delle consegne ringhiò, trovandosi al buio, una sorta di paura lo prese quando sentì la temperatura abbassarsi improvvisamente. Un respiro gli sfiorò il viso, uscendo dal nulla. Spaventato, cadde all’indietro, colpendo con il braccio destro degli armadietti che persero l’equilibrio. Il primo, in cima alla pila, crollò a faccia in giù, rompendogli il naso, l’angolo sprofondato nell’occhio, frantumandogli il bulbo oculare che diffondeva il suo umorismo. Le bottiglie di vino andarono in frantumi su di lui e intorno a lui. Sconvolto, cercò di alzarsi in piedi, ma le sue mani incontrarono pezzi di vetro, che gli tagliarono la carne. Cadendo pesantemente a terra, la sua guancia fu solcata dal vetro saccheggiato sparso per terra. Qualcosa di freddo e gelatinoso si aggrappava alla sua bocca, inspirando lentamente, come una pompa infernale. Il suo braccio sinistro svolazzò in aria, senza incontrare nulla di concreto. Il panico sconvolse Patrick che non riusciva nemmeno ad articolare un suono! Il dolore del suo occhio perforato echeggiò sul suo viso, sulla sua testa. Questa sensazione di sentire le sue forze risucchiate da questa bocca tangibile eppure invisibile. L’impressione di cadere all’indietro, di sprofondare nell’apatia totale fino all’incoscienza…

David passò davanti al suo tetro capo, anche lui davanti a Maurice, dandogli una pacca sulla spalla, che non gli impedì di parlare. Il cameriere si fermò davanti al nuovo arrivato. In quel momento, si sporse in avanti e lo scosse per la spalla. La rigidità dei suoi lineamenti, le sue membra, facevano credere al cameriere che fosse morto. Stava per chiamare i vigili del fuoco, quando si accorse del fetore che circondava l’uomo. La sua carnagione e il suo aspetto erano l’immagine stessa di un paziente alla fine della sua vita. L’angoscia gli intorpidì la mente, gli annodò la gola. Non era mai stato così vicino alla morte, che inevitabilmente lo rimandava alla propria fine. Era arrabbiato con questo cliente per avergli causato tali sentimenti. Con suo stupore, la testa dalle guance scavate si voltò verso di lui, gli occhi vitrei che tornarono alla vita. Una mano tremante spinse il bicchiere vuoto verso l’impiegato spaventato.

– La stessa cosa… giovanotto… articolò quella voce dall’oltretomba che gli congelò l’anima. – D’accordo… va tutto bene, signore? Chiese educatamente.

– Molto meglio… sogghignò l’uomo livido, tossendo prima di sputare. David seguì il rivolo di melma densa che colava sul pavimento vicino alla sedia. David rabbrividì quando notò delle macchie brunastre e verdi. Alzandosi in fretta, si precipitò lungo il corridoio, molto seccato. Grégoire sorrise quando vide il suo nuovo look.

– Prende lo stesso… è malato o cosa? Per terra… quel catarro sembrerebbe macchiato di… sangue… balbettava guardando il suo capo.

– Hai capito la mia depressione… e, l’hai sentita? Penso di sentire quell’odore terribile da qui… balbettò Grégoire. David obbedì, ricordando la puzza, sperando che quell’uomo se ne sarebbe andato presto. Prese il bicchiere di scotch e tornò dal cliente, lo posò sul tavolo e si diresse velocemente alla scaletta aperta. Mentre saliva, salì in cima e distese il braccio teso. Svitò la lampadina spenta e sostituendola con quella nuova. Improvvisamente, gli parve di sentire lo sguardo dello straniero atterrare su di lui. Senza sapere perché, si affrettò e scese velocemente dalla scaletta. L’uomo stava ancora guardando in avanti, David doveva aver sognato… tuttavia, un’inquietudine lo aveva colto. La luce ritornata illuminò i lineamenti cadaverici, quella faccia da demone. Una volta ripiegata la scaletta, tornò al bancone, superando Grégoire con un sospiro. Grégoire lo seguì con aria smarrita…

– Vuoi vedere cosa ne è stato di Patrick? Gli ho chiesto di aiutarmi a riordinare la cantina mentre ti aspettavo… starà bevendo! Sbottò, servendo un altro drink a Maurice. Non c’erano clienti stamattina !

La porta si aprì, Grégoire alzò uno sguardo illuminato verso questo arrivo provvidenziale. Immediatamente riconobbe Sabrina Matlink, la prostituta che veniva a bere il suo bicchiere di vino tra mezzogiorno e le due. Alta, sempre vestita di nero, minigonna di pelle, calze a rete, stivali alti fino alla coscia in vinile nero, un body trasparente a rete che rivela i seni arroganti con le estremità appuntite, una giacca di pelle. Bionda, il suo viso angelico dai lineamenti fini, i suoi occhi luminosi, la sua bocca carnosa che tanto ispiravano Grégoire. Mai, non aveva mai osato vederla… eppure il desiderio non gli era mancato. Sabrina si sedette sul suo sgabello, incrociando le gambe in alto, l’unica volta che Maurice alzò lo sguardo dal bicchiere. – Una moresca, mia cara… la bella era ben consapevole dell’effetto che aveva sugli uomini.

– In questo momento, tesoro mio… rispose lui, guardandola di traverso. Il suo petto si increspava al ritmo dei suoi respiri. Grégoire preparò il pastis con lo sciroppo d’orzo, dolcissimo come al solito.

– Sei la mia oasi di pace in questa maledetta mattina… non potè fare a meno di dire Grégoire.

Sabrina tirò fuori una sigaretta che Grégoire si affrettò ad accendere.

– Sei molto poetico oggi, tesoro mio… disse ridendo. Stava fissando il rossetto rosso sul bordo del bicchiere.

– No.… guarda dietro… vedrai un cliente… sussurrò. Sabrina esalò uno sbuffo di tabacco e girò la testa in un impeto di riccioli biondi. Gregory la vide guardare il nuovo arrivato senza dire nulla, cosa che lo intrigava.

– Non lo trovi ripugnante? Dagli un’occhiata più da vicino… disse con esasperazione.

La donna dal profumo fruttato si alzò e si diresse verso il fondo della stanza con passo felino. Grégoire fissava il suo sedere grassoccio, modellato nella sua minigonna, senza traccia di biancheria intima.

Più si avvicinava allo sconosciuto, più una strana sensazione la invadeva. In piedi con orgoglio davanti al tavolo, lei lo guardò. Quella testa dalle guance scavate, quello sguardo spento, quel candore della pelle, le sue mani ossute.

– Ho pietà di te… ruttò l’uomo prima di sputare.

– Puoi affermare di conoscere la profondità dei miei pensieri? Annunciò, strofinandosi le gambe con un crepitio di vinile.

– Come lo sai? Potremmo parlarne… continuò, alzando su di lei uno sguardo improvvisamente illuminato. Sorpresa, si voltò per tornare a sedersi sul suo sgabello.

– Allora, hai visto il mostro? chiese Gregory, agitato da un sussulto nervoso. Sabrina, prese il bicchiere in mano, imbarazzata.

– È un uomo malato… lo so… disse con un sospiro. Grégoire la guardò in modo diverso, doveva essere strana per non essere spaventata da questo cliente.

– Se vuoi liberartene, non essere timido! Rispose, osservando la sua reazione allo shock.

– Se ti aiuta… vado con lui… disse, spegnendo la sigaretta nel posacenere. Grégoire spalancò gli occhi, non tornando indietro, mentre saltava sulla manna.

– Oh si ! Mi daresti sollievo… disse seccato. Un tocco di gelosia gli invase il cuore… non riusciva a credere che la bella se ne sarebbe andata con quel rifiuto umano. Cosa aveva in più di lui? Pensò mentre ingoiava un bicchiere di rosé. Sabrina tirò fuori un biglietto dalla tasca anteriore della giacca.

– Pago le visite del paziente… disse sensualmente.

– due doppi scotch… sospirò, prendendo il biglietto.

– Tieni il resto… disse alzandosi, consapevole della gelosia di Gregory, non riuscì a trattenere una risata cristallina. Grégoire la seguì verso lo sconosciuto, lei si accucciò davanti a lui, si scambiarono parole che lui non riuscì a sentire. Poi, lui si alzò a fatica, lei lo sostenne. Uscirono insieme dal bar con esasperante lentezza.

David era in piedi sulla soglia della cucina, guardando la bellezza che se ne andava con la decrepitezza… Grégoire lo vide e si accigliò.

– Vai a vedere in cantina! Riporta Patrick! te l’ho già chiesto prima! gridò Grégoire, pieno di odio. David lo fece con riluttanza, scese le scale all’altra estremità del bar.

– Grégoire sentì che il posto si schiariva, era come se l’aria viziata fosse svanita. Questa oppressione interiore lo aveva improvvisamente abbandonato. Le urla lo riportarono alle paure che aveva appena lasciato. David gli corse incontro, anche lui pallido. A Grégoire non piaceva il suo aspetto, cosa avrebbe detto?

– Capo ! Non c’era più luce al piano di sotto… sono sceso con la torcia… e ho trovato Patrick steso per terra in mezzo agli armadietti, sfigurato, sanguinante! Ma, il peggio… annunciò con orrore.

– Che cosa ? Patrick…merda! E cos’altro ? gridò Gregory, esausto…

– Vieni a vedere con me… è indescrivibile… finì di dire il cameriere, sentendo le gambe tremare sotto di lui. Grégoire respirò profondamente prima di seguirlo, non riusciva a immaginare Patrick al piano di sotto… sbattuto così… è forse morto? Sabrina camminava lentamente per le strade, l’uomo al suo braccio. Anche da lì, poteva sentire il fetore che esalava dal suo corpo. Sentiva il suo braccio ossuto con gioia, i pochi passanti li guardavano sgomenti. Sabrina passò accanto a Josy, la sua amica che stava camminando sul marciapiede. Capelli scuri, grassoccia, molta roba traboccava dalla scollatura.

– Cosa stai facendo ? Non è la tua pausa? Chiese quando l’ha vide arrivare.

– Vado a casa… lascio a te la giornata! Josy sorrise a questa notizia, ma la perse subito quando vide il suo compagno.

– Chi è ? Chiese con uno sguardo di disgusto. Sabrina perse il controllo di se stessa.

– Fatti gli affari tuoi ! Rispose con una virulenza che lasciò Josy senza parole…

– Una volta arrivati ​​alla fine della strada, salirono sulla sua macchina. Sabrina lo aiutò a sedersi, stava tremando. Si allontanò e accelerò con uno stridio di gomme. Lasciando il centro storico, si diresse verso i bei quartieri.

– Sei davvero gentile con me, disse con voce roca.

– Lo sarò ancora di più una volta a casa! Disse, senza fiato.

– Cosa ti attrae di me? La sua voce fredda la eccitò.

– Tutto… cosa ti succede? Riuscì ad articolare, era così appassionata.

– Sto morendo… forse non avremo nemmeno il tempo di raggiungere la nostra destinazione… continuò, lei sospirò, lui sogghignò.

– Raccontami della tua malattia… sussurrò, non potendo non guardarlo rispetto a come aveva fatto con tanti altri.

– Io marcisco dall’interno… mangiato dai vermi e da altri insetti che strisciano nella mia carne… ti sta bene? Tossì e quasi si strozzò con il suo catarro.

– Perfetto! Ma, la malattia, come si chiama? L’hai presa?

– L’avidità… la voglia di godersi la vita… disse, stringendo le mani intorno all’elsa del bastone. Un po’ stordita, lei lo guardò sorridendo.

– Puoi dirmi qualsiasi cosa… quello che mi hai detto non è una malattia! Preferì lei, anche offendendosi… era uscita con lui e lui stesso aveva avuto il coraggio di mentirle!!

– Più di quanto pensi… vedrai… sogghignò lui, il che la lasciò con un’insaziabile curiosità. Sabrina parcheggio l’auto davanti alla barriera del parcheggio privato del suo lussuoso palazzo. Dopo aver composto il codice di accesso, si voltò e trovò lo sconosciuto congelato, che la fissava, vitreo. Quando gli mise una mano sul braccio sinistro, la carne era rigida, sembrava davvero un cadavere… non riusciva a sopprimere la sua eccitazione. Parcheggiando l’auto al posto numerato, non osava pensare alle implicazioni della sua morbosa libido, fino ad ora mai veramente ammessa. Ma a mezzogiorno, appena aveva incontrato l’uomo che simboleggiava ciò che non osava ancora fare.

Una volta spento il motore, si accorse della sua rigidità e mancanza di coscienza… era morto? A causa di questo pensiero per un momento si sentì assalita dal panico , come avrebbe potuto spiegare alla polizia la presenza di un uomo dal collo duro nella sua macchina? Soprattutto perché non sapeva nemmeno il suo nome.

David seguì Grégoire su per le scale che portavano alla cantina buia. Arrivato in fondo ai gradini, Grégoire avvertì che il suo cameriere stava rallentando, nel buio sentì salire in lui un’angoscia irrazionale. Il raggio della torcia illuminò gli armadietti sparsi, la terra era rossa… vino o sangue? Il raggio illuminò il viso di Patrick, Grégoire fece un passo indietro emettendo delle grida. Qualcosa di gelido gli aveva appena sfiorato il collo, agitò nervosamente la mano, come per allontanare una zanzara.

– Non hai sentito un odore glaciale? chiese David, allarmato.

– Sì… rispose quest’ultimo, entrambi guardarono i lineamenti di quello che era stato Patrick… occhio forato, naso rotto, ma soprattutto la pelle si appiccicava alle ossa, come se fosse stata svuotata di ogni umore e sostanze liquide, sangue e simili. Il morto sogghignò con spaventoso terrore. David iniziò ad annusare, Gregory non capì subito, poi si accorse del ritorno di questo disturbo… lo stesso che circondava lo straniero in punto di morte.

Lui si è trasferito! gridò David, facendo un passo indietro…

Che cosa? Disse Grégoire, pensò di aver visto un’ombra passare tra la trave e il morto, una forma scheletrica che si era insinuata nella bocca spalancata del fattorino morto… te lo dico… il braccio! Il cadavere! gridò David, facendo un passo indietro. Gregory lo prese per le spalle, la torcia illuminò dal basso il viso del cameriere, rendendolo spettrale.

Una persona morta non si muove… se si è mossa vuol dire che è ancora viva… calmati…

Prima di venire a prenderti ho notato l’assenza di polso, mormorò David. Gregory non si sentiva affatto bene, respirava profondamente nonostante l’atmosfera puzzolente e soffocante.

Guarda! Vedrai… non finì la sua frase che il terreno vuoto si illuminò…

Impossibile!! La voce di Gregory si fece isterica mentre spazzava il pavimento con la scopa, cercando Patrick. David si voltò e andò a sbattere contro qualcosa…

– Gregory si voltò quando sentì l’ululato soffocato di David, le mani di Gregory tremavano, era sull’orlo di un esaurimento nervoso. La sua luce illuminò due corpi, risalendo dalla testa ai piedi… Due mani strangolarono David che tirò fuori la lingua, dibattendosi inutilmente. Grégoire sentì lo schiocco del pomo d’Adamo del suo cameriere!! All’altro capo, si illuminava lo stesso viso deforme e inaridito… L’occhio sano era vitreo! Il corpo di David era crollato a terra come una massa morbida quando questa cosa si è lasciata andare!

No! gridò Grégoire vedendo questo mostro venirgli incontro lentamente, bloccandogli l’accesso alle scale… l’intensa paura provocò un attacco di cuore che travolse Grégoire… quest’ultimo non vide mai crollare il cadavere di Patrick, né l’ombra a forma di scheletro con due ali nella parte posteriore lasciare il fattorino …

Sabrina cercò di rianimare lo sconosciuto, senza successo. Il fatto di toccarlo, di accarezzarlo la eccitava con sua grande vergogna… doveva riportare il suo corpo a casa il più presto possibile, senza farsi notare dai vicini! Scese dalla macchina, nel garage un neon sfrigolava. Alzando lo sguardo, per un lasso di tempo fugace di un attimo, credette di vedere un’ombra o qualcosa nelle vicinanze… due ali nere, una forma fatta di ossa umane che si infilava in macchina!! Si stropicciò gli occhi mentre si rilassava, allucinata! Pensò… incolpando quest’ultima del suo desiderio perverso. Tornando in sé, si tirò giù la gonna e corse alla portiera del passeggero. Quando apri la portiera era congelata dallo stupore … lo sconosciuto la guardò e si commosse … Non sono ancora morto… delusa? borbottò con la bocca asciutta.

Perché dici così?! Sogghignando le sue guance arrossirono.

Perché, lo sto leggendo nella tua mente Sabrina… continuò, districandosi lentamente e faticosamente dalla sua sedia.

Chi sei? In quel momento si fece prendere dal panico. Appoggiato al bastone, riuscì ad alzarsi faticosamente in piedi, le membra tremanti. Gocce d’acqua scorrevano con angosciosa meticolosità da un tubo flessibile sul pavimento del garage.

Bella domanda… non vuoi scoparmi prima? Parleremo poi… articolò con voce rauca prima di tossire e sputare di nuovo… questa volta catarro sanguinante. Sabrina si chiese come facesse a sapere il suo nome, eppure non gli aveva detto niente… i suoi impulsi incontrollabili presero il sopravvento, lo prese per un braccio, sbatté la porta con la gamba lunga modellata nei suoi stivali neri che arrivano fino alla coscia. Nel salire nell’ascensore, si appoggiò allo specchio che le gelò la guancia… il suo basso ventre in fiamme la costrinse a carezze indecenti davanti all’uomo che la guardava con un sorriso che di fatto era crudele.

Entrando nel suo grande appartamento, un enorme soggiorno con ottomani che circondano un tavolo orientale. Un gigantesco televisore al plasma era appeso alla parete come un dipinto. Le finestre dal pavimento al soffitto si aprivano su una terrazza che offriva una magnifica vista sullo skyline della città. La camera da letto era spaziosa, il letto con lenzuola di raso rosso era sfatto, due cuscini erano intrecciati come un presagio .

Proprio dietro i cuscini c’era un’enorme vasca esagonale color salmone e tende dello stesso colore su un’enorme finestra che si affaccia su un parco. Un morbido tappeto circondava il letto, posato morbidamente su un pavimento di piastrelle rosa. Il comodino conteneva gioielli disposti liberamente, con un paio di forbici nel mezzo, davanti a una moderna e lunga lampada da comodino con un paralume ricoperto di rete. Sulla parete risaltava un dipinto di Clovis Trouille, il dipinto, tra l’ingenuo e il figurativo, mostrava una donna bionda, nuda in un cimitero le cui tombe rilasciavano il loro spaventoso contenuto.

Chiudi le persiane… accendi delle candele… dev’essere buio… sussurrò l’uomo sedendosi sul bordo del materasso. Sabrina lo fece in fretta. Le candele erano facili da trovare… rosse e nere. La camera da letto prima si sprofondò nell’oscurità, poi una debole luce incandescente circondò il letto come un pentagramma magi

Sabrina lo spogliò, assaporando l’odore di morte che emanava dai suoi vestiti, lasciandola fare il suo respiro divenne affannoso a testimoniare che era vivo. Scoprì la sua pelle bianca, così attaccata alle sue ossa da poter contare le costole… lo accarezzò, lo baciò. La sua carne sapeva di putrefazione che la sprofondava in uno stato di trance. Il suo pene flaccido e trasudante crebbe nella sua bocca avida… incapace di resistere, si mise a cavalcioni su di lui e si impalò sul suo membro rigido, poi iniziò una serie di frenetici avanti e indietro. Le sue dita ossute le arrivarono al petto, toccandola in modo indecente, vide le sue braccia scheletriche, le sue clavicole così visibili… gli accarezzò il viso, le sue dita sentirono la sua carne raggrinzita… chiuse gli occhi e visualizzò il suo cranio che afferrò. Tombe profanate e aperte, la morte violentata! Uno spasmo la scosse, si tuffò su di lui, i suoi seni accarezzarono la gabbia toracica … la testa del cadavere… si stava scopando un morto!

Dita ossute si avvicinarono al comodino… finalmente trovarono le forbici!

Sabrina stava strofinando il viso sulla sua testa mentre lui, senza che lei se ne rendesse conto le tagliava alcuni riccioli di capelli, tenendoli con cura nella sua mano. Ebbe un orgasmo pensando alla sua fantasia, godette in lei con un liquido ghiacciato …

La prostituta era nella sua cucina, intenta a servirsi un Bloody Mary ben stipato… cosa avrebbe fatto adesso? La vergogna si impadronì della sua anima, posò il bicchiere e indossò la giacca, quasi vestita, doveva solo aggiustarsi la minigonna. Come una tromba marina, uscì dall’appartamento, non osando nemmeno tornare a dare un’occhiata nella sua… camera mortuaria! Lo aveva lasciato disteso sul letto come la cosa morta che era nei suoi occhi.

Nell’ascensore, non poté fare a meno di vedere la sua espressione felice nello specchio che rifletteva il senso di colpa per aver messo in pratica il suo desiderio. Non poteva ignorare i ricordi della sua frenesia morbosa… era morto adesso? Questa domanda le bruciava le labbra… lo avrebbe rivisto la notte stessa…

L’auto di Sabrina scese nel centro storico, si fermò sul marciapiede. In fondo al vicolo, Josy era appoggiata al muro quasi nuda con tutta la sua opulenza, una sigaretta sulle labbra, in attesa del cliente. Sabrina scese dall’auto, i suoi tacchi alti echeggiavano sull’acciottolato, Josy si voltò e sorrise quando la vide.

Nella camera da letto, lo sconosciuto si mosse nelle coperte… il momento era arrivato… si arrampicò sulle coperte, afferrando le forbici, i suoi lineamenti si contorcevano. Scese dal letto e si inginocchiò sul bordo del tappeto, disponendo le ciocche di capelli sul marmo. Poi con un movimento lento, la vena del polso sinistro si aprì con la lama affilata dello scalpello. Il liquido rosso denso scorreva sui riccioli biondi, dalla ferita uscivano cose morbide, ondulate e bianche… vermi!!

Il peripatetico stava per salutare la sua ragazza, quando un dolore l’ha colpì al plesso solare, piegandola a metà.

Cosa hai? gridò Josy, venendo in suo aiuto. Sabrina fu assalita da una profonda nausea e vomitò l’ultimo pasto.

Lo sconosciuto dal corpo scarno aveva appena tracciato uno strano disegno, il pentagramma invertito attorno ai capelli con il suo stesso sangue… le sue due mani scheletriche si incontrarono nella parte inferiore della punta, spostandosi su entrambi i lati della Stella del Diavolo… due scheletriche braccia che lo circondano in cerchio. Sui due punti superiori si delineavano due teschi di morte, ciascuno circondato da un’immensa ala di pipistrelli, il sangue cominciava ad asciugarsi…

La sua ferita sanguinava copiosamente, quindi, mentre sogghignava, aveva eseguito il disegno malvagio con la mano destra. I suoi occhi si illuminarono quando vide il simbolo delle sfere vampiriche… “Yug!” N’gha k’yun bth’gth Sabrina Matlink gllur ph’nglui Varcolaci yzkaa! l’uomo cantava, sogghignando con sproporzionato orgoglio prima di tagliarsi la carotide con lo scalpello!

Sabrina era accovacciata sul pavimento, quando una pressione invisibile fu esercitata sulle sue vertebre cervicali… lanciando a Josy uno sguardo implorante prima di sprofondare nell’incoscienza più totale.

“Voci echeggiano intorno a me… apro le palpebre incollate al sonno… due donne in bianco… un uomo vestito uguale…”

Sabrina Matlink? Come ti senti ? Chiese l’uomo sulla quarantina, i tratti ansiosi… io sono il dottor Tibi… lei è in ospedale… la voce voleva essere rassicurante.

“Perché mi chiama Sabrina Matlink?”. Io sono Varcolaci! L’immortale vampiro psichico che sopravvive volando di corpo in corpo… “Mentre si muoveva, le sue mani toccavano la carne piena di un corpo vivo, i seni? Improvvisamente gli tornò in mente la memoria… ci voleva sempre qualche minuto per riadattarsi al cervello della vittima… Sabrina era stata quella donna sexy che era stata attratta da lui a causa della sua inclinazione necrofila. C’era da dire che l’involucro carnale della sua precedente vittima non era più realmente in buone condizioni. Aveva avuto poco tempo per trovare un altro corpo. Non aveva previsto che quest’uomo soffrisse di cancro al colon che si rivelò presto generalizzato. Poiché la sua ombra aveva abitato un uomo, aveva bisogno di una donna… questione di polarità magnetica… l’unico lato negativo dei Varcolaci…

Sì, dottore, ricordo benissimo… rispose il vampiro con uno sguardo civettuolo… stava per esplorare tutti i piaceri del corpo di una donna prima di passare a quello di un uomo… e viceversa, tutto questo andava avanti da mille anni ormai… perché mai fermarsi?

“In Nomine Sanguinis” … an interview with Sonya Scarlet (ENG/ESP)

In Nomine Sanguinis” … una entrevista con Sonya Scarlet.


1 –  El 19 de noviembre lanzarán el nuevo álbum “In Nomine Sanguinis” en Scarlet Records. El álbum es producido por Riccardo Studer, en el Time Collapse Recording Studio en Roma.Parte de la letra, escrita por la líder Sonya Scarlet, se inspira en “The Corinthian Bride” de Goethe y “Why Blood is Life” de Francis Marion Crawford.Sonya, sin anticiparnos demasiado, ¿puedes contarnos cómo nacieron las letras del disco?

Las letras son para mí la parte fundamental del disco, porque le dan a la música un significado profundo: son la esencia y el alma de quienes somos.

Mi amor por el arte, la literatura y el esoterismo siempre me ha llevado a una investigación constante, y a abrazar temas decadentes e introspectivos que me han pertenecido desde el principio, encontrando en ellos esa inspiración particular necesaria para crear con palabras un viaje atemporal.

Analizando algunas de las letras del nuevo álbum notamos que los protagonistas de las letras suelen ser mujeres, con características en parte ficticias y en parte reales.

Dibujo a estos personajes femeninos de la literatura y les doy vida a través de la música y la palabra, como es precisamente el caso de “La novia de Corinto” de Goethe, donde interpreto, hablando en primera persona, a este misterioso prometido y cruel vampiro.

Es una historia espléndida, llena de misterio y encanto, que siempre he querido incluir en mis textos.

Lo mismo ocurre con “Christina”, extraída de la novela de 1880 “Porque la sangre es la vida” de Marion Crawford.

El texto de “Christina” fue escrito por mí y por Amedeo Longobardi, escritor, esoterista y propietario del famoso club Hell Fire en Roma: fue un trabajo hecho a la antigua, lápiz y papel como poetas malditos, durante las noches lluviosas de invierno. , con un vaso de absenta.

En el texto está la historia de Christina, de que la vean bailando de noche en una tumba … ¡Yo diría que perfecta para este disco!

En mis letras cuento historias o caigo en los abismos del alma, pero todo lo que escribo tiene un sentido bien definido y profundo.

“In nomine sanguinis”, de hecho, tiene un significado notable e importante, visto desde un punto de vista esotérico. Por esto no diré más, dejándolo a quienes escucharán el pasaje y examinarán el texto para descubrirlo.

“Endless Darkness” habla de lo simple e ilusorio que es escuchar todo lo aparentemente simple, brillante y explícito, y mentiras y dogmas cuyo único propósito es subyugar y nublar las mentes; el verdadero conocimiento viaja por diferentes caminos, por caminos ocultos, sinuosos y oscuros.

“Golden Cage” representa la jaula mental: una jaula dorada construida por nuestra mente, cuya puerta está abierta para entrar al interior, pero de la que la mayoría de las veces somos incapaces de salir, víctimas de nuestras obsesiones, de nuestros prejuicios, o simplemente de el hecho de que no podemos aceptar plenamente lo que somos.

“The Void Inside” es la balada de la discoteca: habla del camino solitario que cada uno de nosotros finalmente toma. Gianpaolo Caprino (Oceanía, Stormlord) escribió la música y formó un dúo conmigo.

2- ¿Cuáles son tus otros autores favoritos y qué lecturas prefieres?

De Coleridge a Dickinson, a Wilde, Christina Rossetti, Milton, Anne Rice, Palahniuk. Bukowski y muchos otros.

3- ¿Cuál es tu relación con el cine en cambio?

Amo Amo mucho el cine, y pude profundizar en sus temas asistiendo al DAMS como curso universitario. Siguiendo con el tema de los vampiros, “Entrevista con el vampiro” y “Drácula” de Coppola se encuentran entre mis películas favoritas de la actualidad. Por lo demás, amo a directores como Tarantino y Lynch.

3 –  También de la novela (y película) “Entrevista con el vampiro” de Anne Rice te inspiraste a darle el nombre a la banda, ¿verdad?

Exactamente. La elección del nombre viene precisamente de aquí: de la pluma de Anne Rice y su “Teatro de vampiros”: y ahora explicaré por qué.

Este “Teatro” está formado por seres sobrenaturales, con la particularidad de ser sus actores: por tanto, un lugar en el que, ante la mirada de espectadores desprevenidos, estos “actores” cometen asesinatos reales y ritos vampíricos, aparentemente disfrazados de comedias negras: prácticamente son vampiros reales que fingen ser humanos, para hacerse pasar esencialmente por ellos mismos, sin ser reconocidos de inmediato.

Lo que es la apariencia de una comedia negra, en realidad, es la realidad de las cosas, auténticas y feroces, pero ocultas y disfrazadas, de tal manera que la hacen aceptable incluso para aquellos que no soportarían la visión, pero que aún permanece. la verdad. Aquellos que saben captarlo comprenden la diferencia. Los demás, en cambio, solo ven un asesinato que creen falso, aceptándolo sin problemas porque así se lo dijeron, mientras que si supieran que no es una comedia se darían la vuelta o huirían.

Este es un concepto difícil, pero extremadamente cierto y profundo: la máscara más allá de la máscara, diseñada para revelar su verdadera esencia a través de la ficción, dejándola clara solo para aquellos que realmente son capaces de comprender esta aparente paradoja, y no para aquellos que no están preparados. para captarlo.

En el escenario, el alma siempre está desnuda.

3- En el extranjero, especialmente en Latinoamérica, ya eres muy conocido.

¿Cómo crees que será recibido este último trabajo por la crítica y el público, entusiasmado con tus trabajos y tus actuaciones en directo?

¿Algún recuerdo particular de tus innumerables giras?

Cuando se lanza un nuevo álbum, no me gusta crear expectativas.

Si es así, no podríamos componer de una manera verdaderamente libre y verdadera.

Siempre sería un trabajo orientado a agradar al público, mientras jugamos y creamos con pasión, para nosotros mismos, sin importar otras necesidades, incluidas las comerciales.

Somos lo que sale de nuestra alma. Ciertamente puedo decir que siempre hemos dado lo mejor de nosotros y superado muchos momentos difíciles, incluso el período en el que no nos dimos por vencidos y que completamos un proyecto en el que creímos desde el principio.

Sentimos la nostalgia y las ganas de volver a los ambientes con orquestaciones que nos han acompañado en tantos discos y que siempre han sido nuestra seña de identidad. Así que espero que aquellos que aman nuestros sonidos aprecien nuestro nuevo trabajo.

En cuanto a las giras, por razones obvias, todos hemos estado en pausa durante este período, por lo que cada recuerdo se vuelve precioso: cada gira tiene mil cosas sucediendo y cada concierto es siempre único y especial, pero prefiero centrarme en el futuro y la esperanza. que pronto lograremos, una vez más, llevar nuestra música por todo el mundo.

4 – ¿Cuál es la formación definitiva de la banda que grabó “In Nomine Sanguinis”? ¿Mantendrás esta alineación también para los conciertos en vivo?

Siempre somos nosotros: yo a la voz, por supuesto, Zimon Lijoi al bajo y Gabriel Vlerio a la batería.

Para las grabaciones de guitarra utilizamos unas excelentes sesiones con Gianpaolo Caprino (Ooceania, Stormlord), quien también escribió la música de “The Void Inside” y proporcionó la voz masculina, y luego están las sesiones con Francesco Fasolo y Alessio Cattaneo. Luego tuvimos un cambio de formación con el regreso a la banda de nuestro talentoso guitarrista Giorgio Ferrante. Estamos muy felices de tenerlo de nuevo a bordo y, sin duda, de continuar la vida con esta alineación. Tantas noticias en la casa de TDV.

5- ¿Quién es Sonya Scarlet en la vida cotidiana?

Soy una persona coherente: la Sonya que ves en el escenario es una parte de mí, que siempre me pertenece. Evidentemente también hay muchos otros lados que enriquecen mi personalidad.

Amo la cultura, la literatura, la música, valoro las cosas que son importantes para mí y para mí nada se da por sentado. Sigo un camino esotérico que completa quien soy.

Para los curiosos, también soy barlady y amo la vida nocturna. Pero, por otro lado, no podía ser de otra manera … ¡sigo siendo un vampiro!

6 – Los lectores de Rede Vampirica seguramente sentirán curiosidad por saber qué te impulsó, al comienzo de la historia de Theatres des Vampires, más allá de la obvia pasión, a enfocar tu imaginación en el fascinante mundo del vampirismo. En tu opinión, ¿cuáles son las razones que capturan a una tajada tan grande de público hacia la figura inmortal del vampiro?

Al principio todavía no formaba parte de la banda, pero sé que el amor por la literatura llevó a los antiguos integrantes a elegir este tipo de tema. Posteriormente estos peculiares temas han sido nuestra característica durante más de 20 años. Una elección perfecta, diría yo, en la que absolutamente me encontré y me reconocí.

7 – ¿Tienes algún “modelo inspirador” que tengas en cuenta cuando actúas en concierto o cuando eliges el look para presentarte en el escenario?

No tengo modelos a seguir que me inspiren. Mi forma de vestir es mi segunda piel, representa mi gusto personal, mi esencia más real y quien soy.

A menudo lo hacen las hábiles manos de mi estilista Katia Diktator, que diseña y produce ropa de escenario conociendo perfectamente mis gustos.

Cuando estoy en el escenario necesito el atuendo perfecto, que debe ser espectacular y cómodo.

Si me siento envuelto en ropa ajustada no puedo ser yo mismo, así que al final mi ropa es siempre mínima y me permite sentirme libre.

8 – Vuelve con un nuevo álbum a pesar del drama pandémico de Covid. ¿Qué has estado haciendo en este período? ¿Cómo llevaste a cabo los compromisos de la banda a pesar de que el mundo literalmente se congeló durante dos años?

Intentamos, a través de altibajos, terminar nuestro último álbum, y puedo decir que no fue nada fácil.

Personalmente tuve un período de parada creativa y estaba muy preocupado porque no podía escribir ni una línea. Mi mente estaba vacía, ni siquiera podía leer … la limitación de la libertad, aunque por razones indiscutiblemente válidas como una pandemia, puede producir efectos extraños. Afortunadamente, todo esto no duró mucho. Abrí la llave, me arremangué y comencé a escribir mil cosas. Los otros muchachos se comportaron más o menos de la misma manera: en un momento queríamos hacer de este período una oportunidad, y nos comprometimos a hacer lo que amamos, dejando al resto del mundo fuera.

Lo que amamos es nuestra música.

9 – Del anterior “Candyland”, ¿en qué línea se desarrollan los sonidos de “In Nomine Sanguis”? ¿Qué sorpresas nos esperan esta vez?

Con “In nomine sanguinis” sentimos la necesidad de redescubrir esos ambientes que siempre nos han pertenecido.

Sentimos que queríamos redescubrir ese particular estado de ánimo romántico, decadente y oscuro, asociado con los temas que nos interesan. Personalmente, tenía una imagen clara de lo que quería lograr: un álbum de vampiros al estilo TDV, que miraba en parte al pasado y en parte a nuevas ideas, experimentando con nuevos sonidos. En resumen, hemos tenido en cuenta las orquestaciones anteriores, adaptándolas a un sonido decididamente más moderno. En esto, nuestro productor Riccardo Studer fue extremadamente valioso. La voz en algunas canciones también es diferente.

Experimentar, investigar nuevos sonidos, avanzar, es fundamental para nosotros, precisamente para poder ofrecer algo auténtico e innovador a nuestros fans. Tienes que evolucionar, pero sin alterar tu sonido … después de todo, la creatividad no puede tener restricciones rígidas: todo cambia y evoluciona.

10 – ¿Algo que desees añadir? ¿Un saludo especial para Rede Vampirica?

¡Un agradecimiento especial a la talentosa y querida amiga Sara Ballini por la maravillosa entrevista, y un beso sangriento a la redacción y lectores de Red Vampyrica “! ¡¡La sangre es vida!!


Part of the lyrics, written by frontwoman Sonya Scarlet, are inspired by Goethe’s “The Corinthian Bride” and Francis Marion Crawford’s “Why Blood is Life”.

Sonya, without anticipating too much, can you tell us about how the lyrics of the album were born?

The lyrics are for me the fundamental part of the record, because they give the music a profound meaning: they are the essence and soul of who we are.

My love for art, literature and esotericism has always led me to constant research, and to embrace decadent and introspective themes that have belonged to me since the beginning, then finding in them that particular inspiration necessary to create with words a timeless journey.

Analyzing some of the lyrics of the new album we note that the protagonists of the lyrics are often women, with their characteristics partly fictional and partly real.

I draw these female characters from literature and give them life through music and words, as is the case in Goethe’s “Bride of Corinth”, where I play, speaking in the first person, this mysterious betrothed and cruel vampire.

It is a splendid story, full of mystery and charm, which I have long wanted to include in my texts.

The same goes for “Christina”, drawn from the 1880 novel “For the blood is the life” by Marion Crawford.

The text of “Christina” was written by me and by Amedeo Longobardi, writer, esotericist and owner of the famous Hell Fire club in Rome: it was a job done in the old way, pen and paper like cursed poets, during rainy nights winter, over a glass of absinthe.

In the text there is the story of Christina, of her being seen while she dances at night on a tomb … I would say perfect for this album!

In my lyrics I tell stories or I fall into the abysses of the soul, but everything I write has a well-defined and profound meaning.

“In Nomine Sanguinis”, in fact, has a remarkable and important meaning, seen from an esoteric point of view. For this I will not say more, leaving it to those who will listen to the passage and examine the text to discover.

“Endless Darkness” talks about how simple and illusory it is to listen to all that is apparently simple, bright and explicit, and to lies and dogmas whose sole purpose is to subjugate and cloud minds; true knowledge travels along different paths, on hidden, winding and dark roads.

“Golden Cage” represents the mental cage: a golden cage built by our mind, whose door is open to enter inside, but from which most of the time we are unable to get out, victims of our obsessions, our preconceptions, or simply of the fact that we cannot fully accept what we are.

“The Void Inside” is the ballad of the disco: it talks about the solitary path that each of us eventually takes. Gianpaolo Caprino (Oceania, Stormlord) wrote the music and duetted with me.

2- What are your other favorite authors and which readings do you prefer?

From Coleridge to Dickinson, to Wilde, Christina Rossetti, Milton, Anne Rice, Palahniuk. Bukowski, and many others

3- What is your relationship with cinema instead?

I love cinema very much, and I was able to deepen its topics by attending the DAMS as a university course. Staying on the vampire theme, Coppola’s “Interview with the Vampire” and “Dracula” are among my favorite films today. For the rest, I love directors like Tarantino and Lynch.

3 – … Also from the novel (and film) “Interview with the Vampire” by Anne Rice you were inspired to give the name to the band, right?

. Exactly. The choice of the name comes precisely from here: from the pen of Anne Rice and her “Theater of Vampires”: and now I’ll explain why.

This “Theater” is made up of supernatural beings, with the particularity of being their actors: therefore, a place in which, under the eyes of unsuspecting spectators, these “actors” commit real murders and vampire rituals, apparently disguised as noir comedies: practically they are real vampires who pretend to be human, to essentially impersonate themselves, without being recognized immediately.

What is the appearance of a noir comedy, in reality, is the reality of things, authentic and ferocious, but hidden and disguised, in such a way as to make it acceptable even to those who would not bear the vision, but which still remains the truth. Who knows how to grasp it understands the difference. The others, on the other hand, only see a murder that they believe to be false, accepting it without problems because they were told so, while if they knew that it is not a comedy they would turn around or run away.

This is a difficult concept, but extremely true and profound: the mask beyond the mask, designed to reveal its true essence through fiction, making it clear only to those who are really able to grasp this apparent paradox, and not to those who are unprepared to grasp it.

On stage the soul is always laid bare.

3- Abroad, especially in Latin America, you are already well known.

How do you think this last work will be received by critics and the public, enthusiastic about your works and your live performances?

Any particular memories of your countless tours?

When I release a new album, I don’t like creating expectations.

If so, we would not be able to compose in a truly free and true way.

It would always be a job aimed at pleasing an audience, while we play and create with passion, for ourselves, regardless of other needs, including commercial ones.

We are what comes out of our soul. I can certainly say that we have always given our best and overcome many difficult moments, even the period that we did not give up and that we completed a project in which we believed from the beginning.

We felt the nostalgia and the desire to return to the atmospheres with orchestrations that have accompanied us on so many albums, and which have always been our trademark. So, I hope that those who love our sounds will appreciate our new work.

As for the tours, for obvious reasons we have all been on hiatus during this period, so every memory becomes precious: every tour has a thousand things happening and every concert is always unique and special, but I prefer to focus on the future and hope that we will soon succeed, once again, to take our music around the world.

4 – What is the definitive line-up of the band that recorded “In Nomine Sanguinis”? Will you keep this line-up also for any live concerts?

It’s always us: me on vocals, of course, Zimon Lijoi on bass and Gabriel Vlerio on drums.

For the guitar recordings we used some excellent sessions with Gianpaolo Caprino (Ooceania, Stormlord), who also wrote the music for “The Void Inside” and provided the male vocals, and then there are the sessions with Francesco Fasolo and Alessio Cattaneo. We then had a change of line up with the return to the band of our talented guitarist Giorgio Ferrante. We are very happy to have him back on board, and certainly to continue the lives with this line-up. So many news in the TDV house.

5- Who is Sonya Scarlet in everyday life?

I am a coherent person: the Sonya you see on stage is a part of me, which always belongs to me. Obviously, there are also many other sides that enrich my personality.

I love culture, literature, music, I value things that are important to me and for me nothing is ever taken for granted. I follow an esoteric path that completes who I am.

For the curious, I am also a barlady and love the nightlife. But on the other hand, it couldn’t be otherwise … I’m still a vampire!

6 – Readers of Rede Vampirica will certainly be curious to know what prompted you, at the beginning of the history of the Theaters des Vampires, beyond the obvious passion, to focus your imagination on the fascinating world of vampirism.

What are, in your opinion, the reasons that capture such a large slice of the public towards the immortal figure of the vampire?

At the beginning I was not yet part of the band, but I know that the love for literature led the old members to choose this type of theme. Subsequently these peculiar themes have been our characteristic for over 20 years. A perfect choice I would say, in which I absolutely found myself and recognized myself.

7 – Do you have any “inspirational models” that you keep in mind when you perform in concert or when you choose the look to present yourself on stage?

I have no role models to inspire me. My way of dressing is my second skin, it represents my personal taste, my most real essence and who I am.

It is often made by the skilled hands of my stylist Katia Diktator, who designs and produces stage clothes knowing my tastes perfectly.

When I’m on stage I need the perfect outfit, which must be spectacular and comfortable.

If I feel wrapped in tight clothes, I can’t be myself, so in the end my clothes are always minimal and allow me to feel free.

8 – Come back with a new album despite the tragedy of the Covid pandemic. What have you been doing in this period? How did you carry out the band’s commitments even though the world literally froze for two years?

I tried, through highs and lows, just to finish our last album, and I can say that it was not easy at all. Personally, I had a period of creative stop, and I was very worried because I could not write even a line. My mind was empty, I couldn’t even read … the limitation of freedomìm can produce strange effects. Fortunately, all this did not last long. I unlocked, rolled up my sleeves and started writing a thousand things. The other guys behave more or less the same way: at one point we wanted to make this period an opportunity, and we committed ourselves to doing what we love, leaving the rest of the world out.

What we love is our music.

9 – From the previous “Candyland” on what line do the sounds of “In Nomine Sanguis” develop? What surprises await us this time ?.

With “In Nomine Sanguinis” we felt the need to rediscover those atmospheres that have always belonged to us.

We felt we wanted to rediscover that particular romantic, decadent and dark mood, associated with the themes we care about. Personally, I had a clear image of what I wanted to achieve: a vampire album in the TDV style, which looked partly to the past and partly to new ideas, experimenting with new sounds. In summary we have kept in mind the previous orchestrations, adapting them to a decidedly more modern sound. In this our producer Riccardo Studer was extremely precious. The voice in some songs is also different.

Experimenting, researching new sounds, moving forward, is fundamental for us, precisely to be able to offer something authentic and innovative to our fans. You need to evolve, but without upsetting your own sound … after all, creativity cannot have rigid constraints: everything changes and evolves.

10 – Anything you would like to add? A special greeting for Rede Vampirica?

A special thanks to the talented and dear friend Sara Ballini for the wonderful interview, and a bloody kiss to the editorial staff and readers of Red Vampyrica “! Blood is life !!

In Nomine Sanguinis” … una entrevista con Sonya Scarlet.

1 –  El 19 de noviembre lanzarán el nuevo álbum “In Nomine Sanguinis” en Scarlet Records. El álbum es producido por Riccardo Studer, en el Time Collapse Recording Studio en Roma.

Parte de la letra, escrita por la líder Sonya Scarlet, se inspira en “The Corinthian Bride” de Goethe y “Why Blood is Life” de Francis Marion Crawford.

Sonya, sin anticiparnos demasiado, ¿puedes contarnos cómo nacieron las letras del disco?

Las letras son para mí la parte fundamental del disco, porque le dan a la música un significado profundo: son la esencia y el alma de quienes somos.

Mi amor por el arte, la literatura y el esoterismo siempre me ha llevado a una investigación constante, y a abrazar temas decadentes e introspectivos que me han pertenecido desde el principio, encontrando en ellos esa inspiración particular necesaria para crear con palabras un viaje atemporal.

Analizando algunas de las letras del nuevo álbum notamos que los protagonistas de las letras suelen ser mujeres, con características en parte ficticias y en parte reales.

Dibujo a estos personajes femeninos de la literatura y les doy vida a través de la música y la palabra, como es precisamente el caso de “La novia de Corinto” de Goethe, donde interpreto, hablando en primera persona, a este misterioso prometido y cruel vampiro.

Es una historia espléndida, llena de misterio y encanto, que siempre he querido incluir en mis textos.

Lo mismo ocurre con “Christina”, extraída de la novela de 1880 “Porque la sangre es la vida” de Marion Crawford.

El texto de “Christina” fue escrito por mí y por Amedeo Longobardi, escritor, esoterista y propietario del famoso club Hell Fire en Roma: fue un trabajo hecho a la antigua, lápiz y papel como poetas malditos, durante las noches lluviosas de invierno. , con un vaso de absenta.

En el texto está la historia de Christina, de que la vean bailando de noche en una tumba … ¡Yo diría que perfecta para este disco!

En mis letras cuento historias o caigo en los abismos del alma, pero todo lo que escribo tiene un sentido bien definido y profundo.

“In nomine sanguinis”, de hecho, tiene un significado notable e importante, visto desde un punto de vista esotérico. Por esto no diré más, dejándolo a quienes escucharán el pasaje y examinarán el texto para descubrirlo.

“Endless Darkness” habla de lo simple e ilusorio que es escuchar todo lo aparentemente simple, brillante y explícito, y mentiras y dogmas cuyo único propósito es subyugar y nublar las mentes; el verdadero conocimiento viaja por diferentes caminos, por caminos ocultos, sinuosos y oscuros.

“Golden Cage” representa la jaula mental: una jaula dorada construida por nuestra mente, cuya puerta está abierta para entrar al interior, pero de la que la mayoría de las veces somos incapaces de salir, víctimas de nuestras obsesiones, de nuestros prejuicios, o simplemente de el hecho de que no podemos aceptar plenamente lo que somos.

“The Void Inside” es la balada de la discoteca: habla del camino solitario que cada uno de nosotros finalmente toma. Gianpaolo Caprino (Oceanía, Stormlord) escribió la música y formó un dúo conmigo.

2- ¿Cuáles son tus otros autores favoritos y qué lecturas prefieres?

De Coleridge a Dickinson, a Wilde, Christina Rossetti, Milton, Anne Rice, Palahniuk. Bukowski y muchos otros.

3- ¿Cuál es tu relación con el cine en cambio?

Amo Amo mucho el cine, y pude profundizar en sus temas asistiendo al DAMS como curso universitario. Siguiendo con el tema de los vampiros, “Entrevista con el vampiro” y “Drácula” de Coppola se encuentran entre mis películas favoritas de la actualidad. Por lo demás, amo a directores como Tarantino y Lynch.

3 –  También de la novela (y película) “Entrevista con el vampiro” de Anne Rice te inspiraste a darle el nombre a la banda, ¿verdad?

Exactamente. La elección del nombre viene precisamente de aquí: de la pluma de Anne Rice y su “Teatro de vampiros”: y ahora explicaré por qué.

Este “Teatro” está formado por seres sobrenaturales, con la particularidad de ser sus actores: por tanto, un lugar en el que, ante la mirada de espectadores desprevenidos, estos “actores” cometen asesinatos reales y ritos vampíricos, aparentemente disfrazados de comedias negras: prácticamente son vampiros reales que fingen ser humanos, para hacerse pasar esencialmente por ellos mismos, sin ser reconocidos de inmediato.

Lo que es la apariencia de una comedia negra, en realidad, es la realidad de las cosas, auténticas y feroces, pero ocultas y disfrazadas, de tal manera que la hacen aceptable incluso para aquellos que no soportarían la visión, pero que aún permanece. la verdad. Aquellos que saben captarlo comprenden la diferencia. Los demás, en cambio, solo ven un asesinato que creen falso, aceptándolo sin problemas porque así se lo dijeron, mientras que si supieran que no es una comedia se darían la vuelta o huirían.

Este es un concepto difícil, pero extremadamente cierto y profundo: la máscara más allá de la máscara, diseñada para revelar su verdadera esencia a través de la ficción, dejándola clara solo para aquellos que realmente son capaces de comprender esta aparente paradoja, y no para aquellos que no están preparados. para captarlo.

En el escenario, el alma siempre está desnuda.

3- En el extranjero, especialmente en Latinoamérica, ya eres muy conocido.

¿Cómo crees que será recibido este último trabajo por la crítica y el público, entusiasmado con tus trabajos y tus actuaciones en directo?

¿Algún recuerdo particular de tus innumerables giras?

Cuando se lanza un nuevo álbum, no me gusta crear expectativas.

Si es así, no podríamos componer de una manera verdaderamente libre y verdadera.

Siempre sería un trabajo orientado a agradar al público, mientras jugamos y creamos con pasión, para nosotros mismos, sin importar otras necesidades, incluidas las comerciales.

Somos lo que sale de nuestra alma. Ciertamente puedo decir que siempre hemos dado lo mejor de nosotros y superado muchos momentos difíciles, incluso el período en el que no nos dimos por vencidos y que completamos un proyecto en el que creímos desde el principio.

Sentimos la nostalgia y las ganas de volver a los ambientes con orquestaciones que nos han acompañado en tantos discos y que siempre han sido nuestra seña de identidad. Así que espero que aquellos que aman nuestros sonidos aprecien nuestro nuevo trabajo.

En cuanto a las giras, por razones obvias, todos hemos estado en pausa durante este período, por lo que cada recuerdo se vuelve precioso: cada gira tiene mil cosas sucediendo y cada concierto es siempre único y especial, pero prefiero centrarme en el futuro y la esperanza. que pronto lograremos, una vez más, llevar nuestra música por todo el mundo.

4 – ¿Cuál es la formación definitiva de la banda que grabó “In Nomine Sanguinis”? ¿Mantendrás esta alineación también para los conciertos en vivo?

Siempre somos nosotros: yo a la voz, por supuesto, Zimon Lijoi al bajo y Gabriel Vlerio a la batería.

Para las grabaciones de guitarra utilizamos unas excelentes sesiones con Gianpaolo Caprino (Ooceania, Stormlord), quien también escribió la música de “The Void Inside” y proporcionó la voz masculina, y luego están las sesiones con Francesco Fasolo y Alessio Cattaneo. Luego tuvimos un cambio de formación con el regreso a la banda de nuestro talentoso guitarrista Giorgio Ferrante. Estamos muy felices de tenerlo de nuevo a bordo y, sin duda, de continuar la vida con esta alineación. Tantas noticias en la casa de TDV.

5- ¿Quién es Sonya Scarlet en la vida cotidiana?

Soy una persona coherente: la Sonya que ves en el escenario es una parte de mí, que siempre me pertenece. Evidentemente también hay muchos otros lados que enriquecen mi personalidad.

Amo la cultura, la literatura, la música, valoro las cosas que son importantes para mí y para mí nada se da por sentado. Sigo un camino esotérico que completa quien soy.

Para los curiosos, también soy barlady y amo la vida nocturna. Pero, por otro lado, no podía ser de otra manera … ¡sigo siendo un vampiro!

6 – Los lectores de Rede Vampirica seguramente sentirán curiosidad por saber qué te impulsó, al comienzo de la historia de Theatres des Vampires, más allá de la obvia pasión, a enfocar tu imaginación en el fascinante mundo del vampirismo. En tu opinión, ¿cuáles son las razones que capturan a una tajada tan grande de público hacia la figura inmortal del vampiro?

Al principio todavía no formaba parte de la banda, pero sé que el amor por la literatura llevó a los antiguos integrantes a elegir este tipo de tema. Posteriormente estos peculiares temas han sido nuestra característica durante más de 20 años. Una elección perfecta, diría yo, en la que absolutamente me encontré y me reconocí.

7 – ¿Tienes algún “modelo inspirador” que tengas en cuenta cuando actúas en concierto o cuando eliges el look para presentarte en el escenario?

No tengo modelos a seguir que me inspiren. Mi forma de vestir es mi segunda piel, representa mi gusto personal, mi esencia más real y quien soy.

A menudo lo hacen las hábiles manos de mi estilista Katia Diktator, que diseña y produce ropa de escenario conociendo perfectamente mis gustos.

Cuando estoy en el escenario necesito el atuendo perfecto, que debe ser espectacular y cómodo.

Si me siento envuelto en ropa ajustada no puedo ser yo mismo, así que al final mi ropa es siempre mínima y me permite sentirme libre.

8 – Vuelve con un nuevo álbum a pesar del drama pandémico de Covid. ¿Qué has estado haciendo en este período? ¿Cómo llevaste a cabo los compromisos de la banda a pesar de que el mundo literalmente se congeló durante dos años?

Intentamos, a través de altibajos, terminar nuestro último álbum, y puedo decir que no fue nada fácil.

Personalmente tuve un período de parada creativa y estaba muy preocupado porque no podía escribir ni una línea. Mi mente estaba vacía, ni siquiera podía leer … la limitación de la libertad, puede producir efectos extraños. Afortunadamente, todo esto no duró mucho. Abrí la llave, me arremangué y comencé a escribir mil cosas. Los otros muchachos se comportaron más o menos de la misma manera: en un momento queríamos hacer de este período una oportunidad, y nos comprometimos a hacer lo que amamos, dejando al resto del mundo fuera.

Lo que amamos es nuestra música.

9 – Del anterior “Candyland”, ¿en qué línea se desarrollan los sonidos de “In Nomine Sanguis”? ¿Qué sorpresas nos esperan esta vez?

Con “In nomine sanguinis” sentimos la necesidad de redescubrir esos ambientes que siempre nos han pertenecido.

Sentimos que queríamos redescubrir ese particular estado de ánimo romántico, decadente y oscuro, asociado con los temas que nos interesan. Personalmente, tenía una imagen clara de lo que quería lograr: un álbum de vampiros al estilo TDV, que miraba en parte al pasado y en parte a nuevas ideas, experimentando con nuevos sonidos. En resumen, hemos tenido en cuenta las orquestaciones anteriores, adaptándolas a un sonido decididamente más moderno. En esto, nuestro productor Riccardo Studer fue extremadamente valioso. La voz en algunas canciones también es diferente.

Experimentar, investigar nuevos sonidos, avanzar, es fundamental para nosotros, precisamente para poder ofrecer algo auténtico e innovador a nuestros fans. Tienes que evolucionar, pero sin alterar tu sonido … después de todo, la creatividad no puede tener restricciones rígidas: todo cambia y evoluciona.

10 – ¿Algo que desees añadir? ¿Un saludo especial para Rede Vampirica?

¡Un agradecimiento especial a la talentosa y querida amiga Sara Ballini por la maravillosa entrevista, y un beso sangriento a la redacción y lectores de Red Vampyrica “! ¡¡La sangre es vida!!

“In Nomine Sanguinis”…un’intervista con Sonya Scarlet.

Il 19 Novembre pubblicherete il nuovo album “In Nomine Sanguinis” su Scarlet Records.
Parte dei testi, scritti dalla frontwomanSonya Scarlet, traggono ispirazione da “La Sposa di Corinto” di Goethe e da “Perché il Sangue è Vita” diFrancis Marion Crawford.
Sonya, senza anticipare troppo, puoi parlarci di come sono nate le lyrics dell’album??

Le lyrics sono per me la parte fondamentale del disco, perchè danno alla musica un significato profondo: sono l’essenza e l’anima di ciò che siamo.

Il mio amore per l’arte, per la letteratura e per l’esoterismo mi ha sempre portato ad una ricerca costante, e ad abbracciare tematiche decadenti e introspettive che mi appartengono sin dagli albori, trovando poi in esse quella particolare ispirazione necessaria per creare con le parole un viaggio senza tempo.

Analizzando alcune delle lyrics del nuovo album vediamo che protagoniste dei testi sono spesso le donne, con le loro caratteristiche in parte romanzate e in parte reali.

Io le prendo dalla letteratura e dò loro vita attraverso la musica e le parole, come appunto avviene nella “Sposa di Corinto” di Goethe, ove interpreto, parlando in prima persona, questa misteriosa promessa sposa e crudele vampira.
E’ un racconto splendido, ricco di mistero e fascino, che volevo inserire da tempo nei miei testi.
Lo stesso dicasi per “Christina”, presa dalla novella del 1880 “For the blood is the life” di Marion Crawford.

Il testo di “Christina” e’ stato scritto da me e da Amedeo Longobardi, scrittore, esoterista e proprietario del famoso Hell Fire club di Roma: è stato un lavoro fatto alla vecchia maniera, carta e penna come poeti maledetti, durante piovose notti invernali, davanti ad un bicchiere di assenzio.

Nel testo c’e’ la storia di Christina, del suo essere vista mentre balla di notte su una tomba… direi perfetta per quest’album!

Nei miei testi racconto storie o cado negli abissi dell’anima, ma ogni cosa che scrivo ha un significato ben definito e profondo.

“In nomine sanguinis”, appunto, ha un significato grande ed importante, visto da un punto di vista esoterico. Per questo non dirò di più, lasciandolo scoprire a chi la ascolterà e ne esaminerà il testo.

“Endless darkness” parla di quanto e’ semplice ed illusorio dare retta a tutto cio’ che e’ in apparenza semplice, luminoso ed esplicito, ed a bugie e dogmi il cui scopo è soggiogare e annebbiare le menti; la vera conoscenza viaggia lungo percorsi differenti, su strade nascoste, tortuose e buie.

“Golden cage” rappresenta la gabbia mentale: una gabbia dorata costruita dalla nostra mente, la cui porta e’ aperta per entrare, ma dalla quale il piu’ delle volte non riusciamo ad uscire , vittime delle nostre ossessioni, dei nostri preconcetti, o semplicemente del fatto che non riusciamo ad accettare fino in fondo ciò che siamo.

“The void inside” e’ la ballad del disco: parla del percorso solitario che alla fine percorre ciascuno di noi. Gianpaolo Caprino (Oceania, Stormlord) ne ha scritto la musica e ha duettato con me.

2- Quali altri sono i tuoi autori preferiti e quali letture prediligi?

Da Coleridge alla Dickinson, a Wilde, Christina Rossetti ,Milton, Anne Rice , Palahniuk. Bukowski, e tanti altri–

3- Qual è invece il tuo rapporto con il cinema?

Amo molto il cinema, e ho avuto modo di approfondirne gli argomenti frequentando il Dams come percorso universitario. Rimanendo in tema vampirico, “Intervista col vampiro” e “Dracula” di Coppola sono ad oggi tra i miei film preferiti. Per il resto, amo registi come Tarantino o Lynch.

…inoltre proprio dal romanzo (nonché film) “Intervista col Vampiro” di Anne Rice vi siete ispirati per dare il nome alla band, giusto?

Esattamente . La scelta del nome viene proprio da quello: dalla penna di Anne Rice e del suo “Teatro dei vampiri”: e ora ne spiego il perchè.

Questo “Teatro” è composto da esseri soprannaturali, con la particolarità di esserne gli attori: quindi un luogo nel quale, sotto gli occhi di spettatori ignari, questi “attori” commettono veri omicidi e riti vampireschi, in apparenza camuffati da commedie noir: praticamente sono veri vampiri che fingono di essere umani, per impersonare in sostanza se stessi, senza essere riconosciuti immediatamente.

Quella che è l’apparenza di una commedia noir, in realtà, è la realtà delle cose, autentica e feroce, ma nascosta e mascherata, in modo tale da renderla accettabile anche a chi non ne sopporterebbe la vista, ma che resta comunque la verità. Chi sa coglierla capisce la differenza. Gli altri invece vedono solo un omicidio che credono essere falso, accettandolo senza problemi perchè gli è stato detto così, mentre se sapessero che non è una commedia si rivolterebbero o scapperebbero via.

Questo è un concetto difficile, ma estremamente vero e profondo: la maschera oltre la maschera, studiata per rivelare la propria vera essenza attraverso la finzione, rendendola palese solo a chi realmente sappia cogliere questo apparente paradosso, e non a chi invece sia impreparato a farlo.

Sul palco si mette a nudo l’anima, sempre.

All’estero, specialmente in America Latina, siete già molto conosciuti.
Come pensi che sarà recepito quest’ultimo lavoro dalla critica e dal pubblico, entusiasta dei vostri lavori e delle tue performance live?
Qualche ricordo in particolare dei vostri innumerevoli tours?

Non mi piace crearmi delle aspettative quando esce un nuovo album.

Se così fosse, non riusciremmo a comporre in maniera realmente libera e vera.

Sarebbe sempre un lavoro finalizzato a compiacere un pubblico, mentre noi suoniamo e creiamo con passione, per noi stessi, indipendentemente da altre necessità, anche commerciali.

Noi siamo quello che esce dalla nostra anima. Posso sicuramente dire che abbiamo sempre dato il 100 per cento e superato tanti momenti difficili, visto anche il periodo, che non ci siamo arresi e che abbiamo portato a termine un progetto nel quale abbiamo creduto fin dall’inizio.

Abbiamo sentito la nostalgia e la voglia di ritornare alle atmosfere con orchestrazioni che ci hanno accompagnato in tanti album, e che sono da sempre state il nostro trademark. Spero quindi che chi ama le nostre sonorità apprezzerà il nostro nuovo lavoro.

Per quano riguarda i tour , per ovvie ragioni siamo stati tutti in pausa durante questo periodo, quindi ogni ricordo diventa prezioso: ogni tour ha mille cose che succedono e ogni concerto è sempre unico e speciale, ma preferisco concentrarmi sul futuro e sperare che presto riusciremo, ancora una volta, a portare in giro per il mondo la nostra musica.

Qual’è la line-up definitiva della band che ha registrato “In Nomine Sanguinis”? Manterrete questa line-up anche per eventuali concerti dal vivo?

Siamo sempre noi: io alla voce, ovviamente, Zimon Lijoi al basso e Gabriel Vlerio alla batteria.

Per le registrazioni delle chitarre abbiamo utilizzato alcuni bravissimi session quali Gianpaolo Caprino (Ooceania , Stormlord), che ha anche scritto la musica di “The void inside” e fornito le voci maschili, o come Francesco Fasolo ed Alessio Cattaneo. Abbiamo poi avuto un cambio di line up con il rientro nella band del nostro bravissimo chitarrista Giorgio Ferrante. Siamo molto contenti di averlo nuovamente a bordo, e sicuramente di proseguire i live con questa formazione. Tante novita’ quindi in casa TDV.

Chi è Sonya Scarlet nella vita di tutti i giorni?

Sono una persona coerente: la Sonya che si vede sul palco è una parte di me, che mi appartiene sempre. Ovviamente ci sono anche tanti altri lati che vanno ad arricchire la mia personalità.

Amo la cultura, la letteratura, la musica, dò valore alle cose per me importanti e per me nulla e’ mai scontato. Seguo un percorso esoterico che completa cio che sono.

Per i curiosi, sono anche una barlady ed adoro la vita notturna. Ma d’altronde non potrebbe essere altrimenti… sono sempre un vampiro!

I lettori di Rede Vampirica saranno sicuramente curiosi di sapere cosa vi ha spinti, all’inizio della storia dei Theatres des Vampires, al di là dell’ovvia passione, a incentrare il vostro immaginario sull’affascinante mondo del vampirismo. Quali sono, secondo te, le motivazioni che catturano una così larga fetta di pubblico verso la figura immortale del vampiro?

Agli esordi non facevo ancora parte della band, ma so che l’amore per la letteratura ha portato i vecchi componenti a scegliere questo tipo di tematiche. Queste sono poi state la nostra caratteristica per oltre 20 anni.Una scelta perfetta direi, nella quale mi sono assolutamente trovata e riconosciuta.

Hai qualche “modello ispiratore” che tieni presente quando ti esibisci in concerto o quando scegli il look per presentarti sul palco?

Non ho modelli a cui ispirarmi. Il mio modo di vestire è la mia seconda pelle, rappresenta il mio gusto personale, la mia essenza più reale e ciò che sono.

Viene spesso realizzato dalle sapienti mani della mia stilista Katia Diktator, che disegna e produce gli abiti di scena conoscendo perfettamente i miei gusti.

Quando sono sul palco ho bisogno dell’outfit perfetto, che deve essere scenografico e comodo.

Se mi sento avvolta in abiti stretti non riesco ad essere me stessa, quindi alla fine i miei vestiti sono sempre minimal e mi consentono di sentirmi libera.

Tornate con un nuovo album nonostante il dramma della pandemia del Covid. Di cosa vi siete occupati in questo periodo? Come avete portato avanti gli impegni della band nonostante il mondo si sia letteralmente bloccato per due anni?

Abbiamo cercato, tra alti e bassi, proprio di portare a termine il nostro ultimo disco, e posso dire che non è stato affatto semplice.

Personalmente ho avuto un periodo di stop creativo, ed ero preoccupatissima perche non riuscivo a scrivere neanche una riga. Avevo la mente vuota, non riuscivo neanche a leggere… la limitazione della libertà può produrre effetti strani. Per fortuna mi e’ durato poco. Mi sono sbloccata, mi sono rimboccata le maniche e ho iniziato a scrivere mille cose. Per gli altri ragazzi e’ andata più o meno allo stesso modo: ad un certo punto abbiamo voluto rendere questo periodo un’opportunità, e ci siamo impegnati a fare ciò che amiamo, lasciando il resto del mondo fuori.

E ciò che amiamo è la nostra musica.

Dal precedente “Candyland” su che linea si sviluppano le sonorità di “In Nomine Sanguis”? Che sorprese ci attendono questa volta?

Con “In nomine sanguinis” abbiamo sentito il bisogno di ritrovare quelle atmosfere che ci sono da sempre appartenute.
Sentivamo di voler ritrovare quel particolare mood romantico, decadente ed oscuro, associato alle tematiche a noi care. Personalmente avevo un’immagine chiara di ciò che volevo realizzare: un album vampirico nello stile TDV, che guardasse in parte al passato e in parte a nuove idee, sperimentando nuove sonorità. In sintesi abbiamo mantenuto presenti le orchestrazioni, adattandole pero ad un sound decisamente piu moderno. In questo è stato preziosissimo il nostro produttore Riccardo Studer. Anche la voce in alcuni brani è diversa.

Sperimentare, ricercare nuove sonorità, andare avanti, per noi è fondamentale, proprio per poter dare qualcosa di autentico e innovativo ai nostri fan. Bisogna evolversi, ma senza stravolgere il proprio sound… d’altronde la creatività non può avere vincoli rigidi: tutto muta e si evolve.

Qualcosa che desideri aggiungere? Un saluto speciale per Rede Vampirica?

Un ringraziamento particolare alla bravissima nonchè cara amica Sara Ballini per la bellissima intervista, ed un bloody kiss alla redazione e ai lettori di Red Vampyrica”! Blood is life!!

A Conversation about Vampirism with…Andreas Axikerzus Sahjaza 

Can you briefly describe your concept of vampirism?

I live the vampirism of the Sahjaza dynasty started in the mid-seventies in the United States, in Washington State by our Goddess Matriarch Rosemary Sahjaza. A path that offers spirituality as a process and path as much as a mystical one to experience the ecstatic process and sip the “Blood”. It might seem a little complicated, but it is as natural as an ancient forest whose treetops are so tall and dense that inside there is only an infinite greenish light (like an emerald stone) that darkens and darkens as our vision extends into its depths.

For us the mystique of Sahjaza and also of the Strigoi Circle called Vampyrism is something that is born simply with us and perhaps with allegories like “Graça” or “Good Fortune” often used by the Italian Nicolò Machiavelli which is very appropriate. You do not learn it, you do not accept it, you become it only if you improve it together with the kindred and those of the “Blood”. In the best Socratic, Platonic or Aristotelian sense I can compare it to a demonic inheritance. Peter Lamborn Wilson (AKA: Hakim Bey) comments in Shower of Stars: Dream and Book, on how shamanic origins in Middle Eastern Sufism and the Asian plains or even in Tantrism were something frequent, long before scholars established and deduced their own metrics to the theme.

Our active focus consists mainly in Contemplation (a dry and explosive way for some alchemists compared to meditation) and in aesthetics (in the sense of awe, as used in philosophy) and in the way in which it feeds on the life force of what Mírcea Eliade called non-ordinary reality. There is a meander (such as that described by the Portuguese poet Fernando Pessoa, in the mysterious Via del Serpente) and something artistic in it, which makes the gaze shining, and brings it closer to the verticality and vertigo of the so-called clear vision or adamantine gaze as proposed in his works by my dear brother Thomas Karlsson. We are nourished by “Blood” but nothing born can offer us such nourishment. It is very similar to what the Norsemen call Oðrerir (Odhrerir) and some alchemists such as Michael Scott or the author of Le Tombeau de la Pauvetré would describe it as an Elixir Rubeus. And if on the one hand we take it on the other we offer something that will fill such a void that it is nothing but insufficiency in the face of something that vibrates more intensely and dryly like a Vampyro or a Vampyra.

Our “Blood” comes from the atmosphere, the environment or the people and what it offers, delivers and fills the empty space with what has been taken and what will come from there. Unlike the tone of the “dark night of the soul” and a certain gnostic refinement, often used by occultists when it comes to vampirism, we have a more rooted origin in paganism and in the plurality of a nocturnal and primordial shamanism. Let’s take a look at “Beleza”, but in the sense closest to the “Sublime” used by the great Umberto Eco in the work História da Beleza. What is rare, nourishing and good for each of us, what glitters, warms, nourishes is naturally ephemeral because it clashes with the scandalous, raw and unbalanced tone that is life in these postmodern times. Yes, I know that I write a lot and I don’t know how to express much of what I live and what I love. But I think none of this is strange or perhaps perverse for a DJ who experiences trance during his djing, a model whose gaze plunges into himself while photographed, a guitarist soloing in the middle of a big festival. … the more they reveal themselves the more they hide … the more they define or reveal themselves, the more they run away in this wild garden … perhaps like Lilith wrapped in the wings of an owl.

2 – What is Rede Vamp

Rede Rede Vamp is the nickname of Vampyrica Network in English sounds like Vamp or even Vampyric Network is a digital platform born 20 years ago from my work dedicated to bringing together people who live the fashionista side of vamp cultural production as well as those who live or crave a vision of the world into a vampire mystical or spirituality. Currently it offers well over 900 articles, a few hundred podcasts and videos focused on the contents of the Community Vamp, born above all in Brazil, has spread through South America and has also reached Portugal. Of course, we are one of the many branches that make up the international vamp community and all its ethos and practices. We organize annual events such as Carmilla Dark Gala Night in the beautiful Hasbaya Mansion, a place with over 150 years of history. A grand dinner and ballroom for immortals from all over the world. We organize Fangxtasy and Rede Vamp Nights, periodic parties in night clubs such as the Madame Underground Club in Sao Paulo. And then a black limousine drives through haunted places and stages of suffocating love stories. In addition to the evenings, we offer book presentations and photographic safaris in the historic center and in the forbidden places of our city. But the Vamp Network is even more, much more.

3 – In addition to being a great populariser in the esoteric field of LHP, you are also an artist, would you like to tell us about your career?

I like to see myself as a creator of worlds and someone who walks in these realities. It has always been a principle in my life and has irremediably made me a person obsessed and persecuted by “Art”. And art has something apotropaic and demonic, it teaches the courage to see landscapes and understand what happens in their innermost layers. A bit like the Goblins who dance in the void and celebrate their moment in the universe. “Art” has educated me to think about what we do which will always be inferior to what we idealize and therefore it is better to stick to what we do. When I was a teenager, when I read Lords of Left-Hand Path by the brilliant Dr. Stephen Flowers where he explained to LHP how Captain Nemo’s Nautilus, I felt I was on the right track. It goes without saying that whoever presents himself as a Vampyro and hasn’t hidden him from the world for two decades is something that is antinomic and that expresses with a certain elegance (and a certain clandestinely acceptable extravagance) the forces, symbols and allegories of the “Other Side”, ” in this Wild Pagan Garden which is our world.

In part, I am an underground and alternative DJ who performs themed events with atmospheres and artistic interactions that in different layers and shades refer to the Vamp aesthetic. For loving everything I do too much I’m certainly well-intentioned to have a guaranteed place in hell (laughs). I am also an illustrator who has participated in fanzines since the nineties and then became a professional in the advertising industry and I lived well with this job which allowed me to pay the bills. Already in 2007, an album by Therion called Gothic Kabbalah introduced me to the theme of Adulrunas by Johaness Bureus (Sweden, 17th century) and this led me to encounter the works of his lyricist, the good doctor Thomas Karlsson. And for many years the Adulrunas have become one of the focuses of my illustrated dream practices and diaries, which today are part of the pages of the Peruvian version of the book Adulrunas and Uthark (Editorial Manus Sinistra). And since 2014 I have become a very active writer with 10 books published in Brazil and some of them also in English that have circulated a lot all over the world. With the arrival of the pandemic in March 2020 I became VJ and set designer for my online DJing and for many themed parties.

Another interesting thing to mention is that in a theatrical presentation I have already shared the stage with the iconic character Zé do Caixão and his daughter Liz Vamp. And I also played some characters like The Phantom of the Opera and the Vampire Lestat along with my wife Xendra Sahjaza. Another performance is developed in the video Inês The Dead Queen by the band Wolfheart and the Ravens. We recently participated in the horror film “Almas que Dançam no Escuro” by director Marcos de Brito which is an adaptation of his book “Palavras Interrompidas” and which is participating in some festivals in Italy and Spain. On October 31, 2021 I participated in England as vocalist / narrator on the album Vampyric Ritual Chamber Music by Columbarium Station. An exquisite work of the multi-instrumental musician Fabio Hattock, who is a member of the Strigoi Circle and together for 7 years we have ritualized and established this very special work of art dedicated to the Vampyrica Worldview. The album will be available on Bandcamp. It is very exciting for me to experience the “other side” of music creation after being an amateur music journalist for two decades. In the past I have recorded the backing vocals for the Brazilian band Tuatha de Danan and I have also acted for Ciberpajé’s Post Human Tantra.

4 – What is “Vox Vampirica”?

If the Rede Vamp expresses itself, crystallizes and shows itself as a vision that, just like a network, involves everything related to the “Blood” allowing it to thrive and be safeguarded to strengthen itself, Vox Vampyrica is the voice that expresses a vocation, a primordial howl in front of an automated, medicalized and excessively Germanic-Protestant world of gaseous and generally utilitarian relationships. The Vox Vampyrica is like a roar that brings visions, ideas and words of power that shock people who think alike, and the “Blood” and show them that they are not alone in the way they feel and see the world. . It’s a nice way to talk about this podcast that I created in 2006 in my room, when podcasts were still something of a quirk in Brazil. It thrived, became a studio-recorded podcast, became a weekly web radio show, and even had a long season as an FM radio show in Portugal at Antena Minho, on the SOS Heavy Metal Radio Show. And today is a bi-weekly podcast distributed by Spotify to our subscribers. 16 years of its history are celebrated in 2021 and more than 550 editions have been completed. Its focus is on the vampire universe, philosophy, chronicle, and offers an hour of abstraction and good conversation for like-minded people and “Blood”.

5 – You joined the “Global United Nightside” platform, how do you conceive this “union in diversity” of individuals who are part of the various LHP currents?

5 – You have joined the “Global United Nightside” platform, how do you conceive that I was one of the first signatories of Global United Nightside because, first of all, diversity and plurality are our strengths if we think well and embrace more variables and indicators broad and global. At the same time, we are quantitatively few compared, for example, to the Abrahamic religions and we are a potential target for the most fanatical confessions of these religions. We know that the most fanatical groups calling for brutality and terrorism are dissonant parts of the Abrahamic religions themselves but can inflict structural damage on pagans, the LHP and the occult as a whole. Not only these, but media hysteria like Satanic panic also serves institutions, brands and governments for periodic bonfires of small brands, publishers and entrepreneurs. In short, it is admirable and necessary to have among us a movement and a culture that fosters dialogue, support and mutual assistance from all of us to face scenarios that put our freedom of thought, expression and our own religiosity in spirituality and mysticism. Is there a “union in diversity” of individuals who are part of the various LHP currents?

Considerazioni sul Vampirismo…un’intervista a Andreas Axikerzus Sahjaza

a cura di Sara Ballini.

Puoi descrivere brevemente il tuo concetto di vampirismo?

Vivo il vampirismo della dinastia Sahjaza iniziato dalla nostra Dea Matriarca Rosemary Sahjaza a metà degli anni settanta negli Stati Uniti, nello Stato di Washington, Stati Uniti d’America. Un percorso che offre la spiritualità come processo e percorso tanto quanto una mistica per vivere il processo estatico e sorseggiare il “Sangue”. Potrebbe forse sembrare un po’ complicato, ma è naturale come un’antica foresta le cui cime degli alberi sono così alte e chiuse che dentro c’è solo un’infinita luce verdastra (come una pietra di smeraldo) che si scurisce e si incupisce man mano che si estende la nostra visione nelle sue profondità.

Per noi la mistica di Sahjaza e anche del Circolo Strigoi che è chiamato Vampyrism è qualcosa che nasce semplicemente con noi e magari con allegorie come “Graça” o “Good Fortune” spesso usata dall’italiano Nicolò Machiavelli che è molto appropriata. Non lo si impara, non lo si accetta lo si diventa solo se lo si migliora insieme agli affini e a quelli del “Sangue”. Nel miglior senso socratico, platonico o aristotelico posso paragonarlo a un’eredità demoniaca. Peter Lamborn Wilson (AKA: Hakim Bey) commenta in Shower of Stars: Dream and Book su come le origini sciamaniche nel sufismo mediorientale e nelle pianure asiatiche o anche nel tantrismo fossero qualcosa di frequente, molto prima che gli studiosi istituissero e deducessero le loro metriche al tema.

Il nostro focus attivo consiste principalmente nella Contemplazione (un modo secco ed esplosivo per alcuni alchimisti rispetto al meditativo) e nell’estetica (nel senso di stupore, come usato in filosofia) e il modo in cui si nutre della forza vitale di ciò che Mírcea Eliade chiamava di realtà non ordinaria. C’è un meandro (come quello descritto dal poeta portoghese Fernando Pessoa, nella misteriosa Via del Serpente) e qualcosa di artistico in esso, che rende lo sguardo fulgente, e lo avvicina alla verticalità e vertigine della cosiddetta chiara visione o sguardo adamantino come proposto nelle sue opere dal mio caro fratello Thomas Karlsson. Siamo nutriti dal “Sangue” ma nulla che sia stato concepito può offrirci tale nutrimento. È molto simile a quello che i norreni chiamano Oðrerir (Odhrerir) e alchimisti come Michael Scott o l’autore di Le Tombeau de la Pauvetré lo descriverebbero come un Elixir Rubeus. E se da un lato lo prendiamo dall’altro offriamo qualcosa che riempirà un tale vuoto che non è altro che insufficienza di fronte a qualcosa che vibra più intensamente e seccamente come un Vampyro o una Vampyra.

Il nostro “Sangue” proviene dall’atmosfera, dall’ambiente e da ciò che offre, consegna e riempie lo spazio vuoto di ciò che è stato preso e di ciò che verrà da lì. A differenza del tono della “notte oscura dell’anima” e di una certa raffinatezza gnostica spesso usata dagli occultisti quando si parla di vampirismo, abbiamo un’origine più radicata nel paganesimo e nella pluralità di uno sciamanesimo notturno e primordiale. Diamo uno sguardo a “Beleza”, ma nel senso più vicino al “Sublime” usato dal grande Umberto Eco nell’opera História da Beleza. Ciò che è raro, nutriente e buono per ciascuno di noi, ciò che luccica, riscalda, nutre e naturalmente è effimero perché si scontra con il tono scandaloso, crudo e squilibrato che è la vita in questi tempi postmoderni. Sì, lo so che scrivo molto e non so esprimere molto di ciò che vivo e di ciò che amo. Ma credo che niente di tutto questo sia strano o forse perverso per un DJ che sperimenta la trance durante il suo djing, un modello il cui sguardo si immerge in sé stessi mentre è fotografato, un chitarrista durante un assolo nel bel mezzo di un grande festival… più si svelano più si nascondono… più si definiscono o si palesano sempre più scappano in questo giardino selvaggio… forse come Lilith avvolta nelle ali di un gufo.

2 – Cos’è il Rede Vamp?

Rede Vamp è il soprannome di Vampyrica Network in inglese suona come Vamp o anche Vampyric Network è una piattaforma digitale nata 20 anni fa dal mio lavoro dedicata a riunire persone che vivono il lato fashionista della produzione culturale vamp così come coloro che vivono oppure bramano una visione del mondo, una mistica o una spiritualità vampirica. Attualmente offre ben oltre 900 articoli, alcune centinaia di podcast e video incentrati sui contenuti della Community Vamp, nata soprattutto in Brasile, si estese attraverso il Sudamerica e raggiunse anche il Portogallo. Naturalmente siamo uno dei tanti rami che compongono la comunità vamp internazionale e tutto il suo ethos e la sua prassi. Organizziamo eventi annuali come Carmilla Dark Gala Night nella bellissima Hasbaya Mansion, un luogo con oltre 150 anni di storia. Una grande cena e sala da ballo per immortali provenienti da tutto il mondo. Organizziamo Fangxtasy e Rede Vamp Nights, feste periodiche in locali notturni come il Madame Underground Club di San Paolo. E poi limousine nera attraversa luoghi infestati e palchi di soffocanti storie d’amore. Oltre alle serate, proponiamo presentazioni di libri e safari fotografici nel centro storico e nei luoghi proibiti della nostra città. Ma il Vamp Network è ancora di più, molto di più.

3 – Oltre ad essere un grande divulgatore nel campo esoterico di LHP, sei anche un artista, ti va di raccontarci la tua carriera?

Mi piace vedermi come un creatore di mondi e qualcuno che cammina in queste realtà. È sempre stato un principio nella mia vita e mi ha reso irrimediabilmente una persona ossessionata e perseguitata dall’“Arte”. E l’arte ha qualcosa di apotropaico e demoniaco, insegna il coraggio di vedere i paesaggi e capire cosa succede nei loro strati più intimi. Un po’ come i Goblin che ballano nel vuoto e celebrano il loro momento nell’universo. “L’arte” mi ha educato a pensare a ciò che facciamo che sarà sempre inferiore a ciò che idealizziamo ed è meglio attenersi a ciò che facciamo. Quando ero un adolescente, quando ho letto Lords of Left Hand Path del brillante dottor Stephen Flowers dove ha spiegato a LHP come il Nautilus del Capitano Nemo, ho sentito di essere sulla strada giusta. Inutile sottolineare che chi si presenta come un Vampyro e non lo nasconde al mondo da due decenni è qualcosa di antinomico e che esprime con una certa eleganza (e una certa stravaganza clandestinamente accettabile) forze, simboli e allegorie dell'”Altro Lato”, ” in questo Selvaggio Giardino Pagano che è il nostro mondo.

In parte, sono un DJ underground e alternativo che esegue eventi a tema con atmosfere e interazioni artistiche che in diversi strati e sfumature rimandano all’estetica Vamp. Per amare troppo tutto ciò che faccio sono certamente ben intenzionato ad avere un posto garantito all’inferno (ride). Sono anche un illustratore che dagli anni Novanta ha partecipato a fanzine e poi è diventato un professionista nel settore pubblicitario e ho vissuto bene con questo lavoro che mi permesso di pagare le bollette. Già nel 2007, un album di Therion chiamato Gothic Kabbalah mi ha introdotto al tema di Adulrunas di Johaness Bureus (Svezia, 17° secolo) e questo mi ha portato a incontrare le opere del suo paroliere, il buon dottore Thomas Karlsson. E per molti anni le Adulrunas sono diventate uno dei focus delle mie pratiche e dei miei diari onirici illustrati, che oggi fanno parte delle pagine della versione peruviana del libro Adulrunas e Uthark (Editoriale Manus Sinistra). E dal 2014 sono diventato uno scrittore molto attivo con 10 libri pubblicati in Brasile e alcuni di queste anche in versione inglese che hanno circolato molto in tutto il mondo. Con l’arrivo della pandemia nel marzo 2020 sono diventato VJ e scenografo per il mio DJing online e per tante feste a tema.

Un’altra cosa interessante da menzionare è che in una presentazione teatrale ho già condiviso il palco con il personaggio iconico Zé do Caixão e sua figlia Liz Vamp. E ho anche interpretato alcuni personaggi come Il Fantasma dell’Opera e il Vampiro Lestat insieme a mia moglie Xendra Sahjaza. Un’altra performance è sviluppata nel video Inês The Dead Queen della band Wolfheart and the Ravens. Di recente abbiamo partecipato al film horror “Almas que Dançam no Escuro” del regista Marcos de Brito che è un adattamento del suo libro “Palavras Interrompidas” e che sta partecipando ad alcuni festival in Italia e Spagna. Il 31 ottobre 2021 ho partecipato in Inghilterra come vocalist/voce recitante all’album Vampyric Ritual Chamber Music dei Columbarium Station. Un lavoro squisito del musicista polistrumentista Fabio Hattock, che è membro del Circolo Strigoi e insieme per 7 anni abbiamo ritualizzato e stabilito questa opera d’arte molto speciale dedicata alla Vampyrica Worldview. L’album sarà disponibile su Bandcamp. È molto eccitante per me sperimentare “l’altro lato” della creazione musicale dopo essere stato un giornalista musicale amatoriale per due decenni. In passato ho registrato i cori per la band brasiliana Tuatha de Danan e ho anche recitato per Post Human Tantra di Ciberpajé.

4 – Che cos’è “Vox Vampirica”?

Se il Rede Vamp si esprime, si cristallizza e si mostra come una visione che, proprio come una rete, coinvolge tutto ciò che riguarda il “Sangue” permettendogli di prosperare ed essere salvaguardato per rafforzarsi, Vox Vampyrica è la voce che esprime una vocazione, un ululato primordiale davanti a un mondo automa, medicalizzato ed eccessivamente germanico-protestante di rapporti gassosi e generalmente utilitaristici. Il Vox Vampyrica è come un ruggito che porta visioni, idee e parole di potere che procuro uno shock a persone che la pensano allo stesso modo, e al “Sangue” e mostrano loro che non sono soli nel modo in cui sentono e vedono il mondo. È un bel modo per parlare di questo podcast che ho creato nel 2006 nella mia stanza, quando i podcast erano ancora qualcosa di eccentrico in Brasile. Ha prosperato, è diventato un podcast registrato in studio, è diventato un programma webradio settimanale e ha anche avuto una lunga stagione come programma radiofonico FM in Portogallo ad Antena Minho, nell’SOS Heavy Metal Radio Show. E oggi è un podcast bisettimanale distribuito da Spotify ai nostri abbonati. Sono 16 gli anni della sua storia celebrati nel 2021 e più di 550 edizioni realizzate. Il suo obiettivo è l’universo vampirico, la filosofia, la cronaca, e offre un’ora di astrazione e buona conversazione per persone che la pensano allo stesso modo e al “Sangue”.

5 – Hai aderito alla piattaforma “Global United Nightside”, come concepisci questa “unione nella diversità” di individui che fanno parte delle varie correnti LHP?

Sono stato uno dei primi firmatari di Global United Nightside perché, prima di tutto, la diversità e la pluralità sono i nostri punti di forza se pensiamo bene e abbracciamo variabili e indicatori più ampi e globali. Allo stesso tempo quantitativamente siamo pochi rispetto, ad esempio, alle religioni abramitiche e siamo un potenziale bersaglio per le confessioni più fanatiche di queste religioni. Sappiamo che i gruppi più fanatici che invocano brutalità e terrorismo sono parti dissonanti delle stesse religioni abramitiche ma possono infliggere danni strutturali ai pagani, all’LHP e all’occulto nel suo insieme. Non solo questi, ma l’isteria dei media come il panico satanico serve anche istituzioni, marchi e governi per falò periodici di piccoli marchi, editori e imprenditori. Insomma, è ammirevole e necessario avere in mezzo a noi un movimento e una cultura che favorisca il dialogo, il sostegno e l’assistenza reciproca da parte di tutti noi per affrontare scenari che mettono a rischio la nostra libertà di pensiero, di espressione e la nostra stessa religiosità nella spiritualità e nel misticismo .

Joseph Sheridan Le Fanu ovvero quando l’Irlanda si tinse di “Dark”/ Joseph Sheridan Le Fanu or when Ireland was dyed with Dark

a cura di Umberto Mori

Joseph Sheridan Le Fanu, nacque in quel di Dublino il 28 di agosto del 1814 al civico 45 di Dominick Stree, da Thomas Le Fanu e da Emma Dobin. La Dublino di quell’epoca era una città stupenda, ricca di iniziative e di stimoli culturali, così come Limerick, la città nella quale si trasferì a 12 anni insieme alla sua famiglia, lo fu in fatto di magia e soprannaturale. Infatti a detta di molte testimonianze dell’epoca, non esisteva sulla Terra un posto incantato e magico come l’Irlanda. Dopo gli studi liceali, Joseph frequentò il Dublin Trinity College, ove alcuni anni dopo si laureerà in Giurisprudenza. Nel 1839, a 25 anni, fu ammesso di diritto all’esercizio della professione forense. Le Fanu, fu comunque sempre attratto sin dall’infanzia, dai libri, dalla letteratura e da tutto ciò che gravitava intorno a ciò, sin dal 1838 infatti iniziò a pubblicare un suo scritto, “The Ghost and the Bonesetter”, che sarebbe stato il primo di una raccolta, pubblicata poi in seguito e intitolata “The Purcell papers”. Nel 1839, fu la volta di “Strange event in the life of Schalken the painter”, una cosiddetta variazione sul tema dell’amore demoniaco. Nel 1843, pubblicò “Spaltro”, un’opera pervasa da una sorta di ansia mistico-sessuale, nel 1846, scrisse e pubblicò un interessante romanzo di costume “ The Cocktail and the Anchor”, ambientato nella Dublino del XVIII secolo. L’anno seguente, fu la volta di un romanzo prettamente storico “The fortunes of Colonel Torlogh O’Brien” mentre nel 1851 ci fu la pubblicazione di una delle sue migliori opere ossia i famosi “Ghost stories and tales of Mystery”. Nel 1854, nacque il suo quarto figlio, lo scrittore si era infatti sposato nel 1843 con Susan Bennett e proprio nel 1854 scrisse e pubblicò “An account of some strange disturbances in Augier Street” un volume molto interessante e particolare. Nel 1858, a causa di una grave malattia mori’ la moglie e lo scrittore si chiuse ancor di più in se stesso.
Negli ultimi 15 anni di vita che gli rimasero, morirà infatti il 7 di febbraio del 1873 a 59 anni, Le Fanu scrisse: “The House by the Churchyard”(1861),un testo ispiratogli dalla sua infanzia; “Uncle Silas”(1864), ritenuto da molti critici letterari il suo capolavoro assoluto; “Guy Deverell”(1865); “In the Dark”(1866), libro dal titolo profetico e mefistofelico; “Haunted lives” e “Squire Toby’s hill”(1868); “The chronicles of Golden friars”(1871), in 3 volumi e infine nel 1872 il magnifico “In a glass darkly”, anche questo in 3 volumi. Praticamente dopo quest’ultima opera, Le Fanu non diede alle stampe più nulla di rilevante, a parte qualche articolo e qualche piccolo saggio di non particolare rilievo.
Tra tutto l’interessante lascito letterario del grande Joseph Sheridan Le Fanu, spicca in modo indelebile e proverbiale il racconto “Carmilla”, datato 1872, un anno prima della morte dello scrittore. Se si eccettuano “Il vampiro” di Polidori e “Frankenstein” di Mary Shelley, “Carmilla” è la prima e piu’ autentica opera letteraria Dark nel senso assoluto del termine con possenti nuances vampiresche. Pur essendo ambientata nella Stiria, mentre si legge, si ha in realtà l’impressione di essere in Irlanda, in uno di quei luoghi tipici, ove orrore, demoniaco, vampiresco e soprannaturale interagiscono tra di loro alla perfezione. “Carmilla”, anticipa di ben 25 anni, “Dracula”(1897), di Bram Stoker, in primis per l’ambientazione, il castello antico e sperduto in un luogo dimenticato dal tempo, le notti frequenti di luna piena, passi felpatissimi nella notte, canini aguzzi, desiderosi di mordere colli nivei e virginali, adorazioni sataniche e vampiri, più o meno affascinanti. Nel caso di “Carmilla” più, in quanto tra lei e Laura, la protagonista femminile del racconto, si instaura una solida amicizia che in molti tratti del libro, sembra confluire in un torbido e affascinante rapporto saffico che comunque condurrà ad una sorta di lieto e anche non lieto fine della storia. Insomma, la Stiria, nella realtà e l’Irlanda, nell’immaginario, si colorano di potenti tinte Dark/Erotico/Saffico/Vampiresche che ad onor del vero, ancora una volta, tendono a rimarcare, seppur in modo alquanto sotterraneo, che il fascino del “Diavolo”, non ha eguali e che la muliebre Bellezza gli appartiene di diritto. Ma guarda un po’!!!   

Joseph Sheridan Le Fanu or when Ireland was dyed with Dark.

Joseph Sheridan Le Fanu, was born in Dublin on August 28, 1814 at number 45 of Dominick Stree, by Thomas Le Fanu and Emma Dobin. Dublin at that time was a wonderful city, full of initiatives and cultural stimuli, as was Limerick, the city in the

which he moved to 12 years with his family, he was in the matter of magic and supernatural. In fact, according to many testimonies of the time, there was no enchanted and magical place on Earth like Ireland. After his high school studies, Joseph attended Dublin Trinity College, where he earned his law degree a few years later. In 1839, at the age of 25, he was admitted by right to practice as a lawyer. Le Fanu, however, was always attracted since childhood, come on

books, literature and everything that gravitated around the occult; in fact, starting from 1838 he began to publish a written by him, “The Ghost and the Bonesetter”, which would be the first work of a collection, later published and entitled “The Purcell papers”. In 1839, it was the turn of “Strange event in the life of Schalken the painter”, a variation on the theme of demonic love. In 1843, he published “Spaltra”, a work pervaded by a sort of mystical-sexual anxiety, in 1846, he wrote and published an interesting costume novel “The Cocktail and the Anchor”, set in 18th century Dublin. The following year, it was the turn of a purely historical novel “The fortunes of Colonel Torlogh O’Brien” while in 1851 one of his best works was published, the famous “Ghost stories and tales of Mystery”. In 1854, his fourth child was born, the writer had in fact married in 1843 with Susan Bennett and in 1854 he wrote and published “An account of some strange disturbances in Augier Street” a very interesting and particular volume. In 1858, his wife died of a serious illness and the writer withdrew even more in himself. In the last 15 years of his life that remained, in fact, he died at 59 on February 7, 1873, Le Fanu wrote: “The House by the Churchyard” (1861), a text inspired by his childhood; “Uncle Silas” (1864), considered by many literary critics to be his absolute masterpiece; “Guy Deverell” (1865); “In the Dark” (1866), a book with a prophetic and Mephistophelic title; “Haunted lives” and “Squire Toby’s hill” (1868); “The chronicles of Golden friars” (1871) in 3 volumes and finally in 1872 the magnificent “In a glass darkly”, also in 3 volumes. Practically after this last work, Le Fanu no longer published anything relevant, apart from a few articles and a few small essays of little importance.

Il viaggio di Apophis tra gli archetipi del Drago

a cura di Ylenia Oliviero.

Il viaggio alla riscoperta della vera essenza del Drago è un’esperienza scomoda per molti e terrificante per la maggior parte delle persone.
Mostra gli aspetti di se stessi nella maniera più cupa, aspetti spesso che preferirebbero non riconoscere.
Ma la conoscenza di sé e l’autointegrazione sono le uniche vere chiavi per farlo.
L’Universo come lo definisce Kelly è una magnifica arena di gioco in cui il Sé può esprimere e sviluppare la propria essenza, unica e indissolubile, in un ciclo in continua espansione di Rimanifestazione.
Questa manifestazione ciclica apre le porte ad un concetto fondamentale, quello dei
Ragnarök. La prima cosa che l’Iniziato impara nelle tracce del testo Apophis di M. Kelly, è che in realtà non sa quasi nulla di se stesso. La personalità è un miscuglio di condizionamenti genitoriali e sociali, plasmati e rimodellati dai media, dalla pubblicità e dall’educazione selettiva.
I primi compiti per lo studente sono rimuovere gli accumuli per rivelare finalmente il proprio nucleo centrale immacolato. Questo processo di auto-rivelazione è la prima apertura dell’Occhio del Leviatano, imparare a vedere le cose – e in particolare se stessi – come loro.
Uno stupendo aggancio alla concezione Hegeliana di manifestazione dello spirito, in cui la percezione delle idee in sé, per sé e fuori di sé, aprono al primo step del controllo delle pulsazioni nella sublimazione con il mondo esterno.
Perché i draghi? A causa della loro mitologia e delle loro immagini durevoli, certamente, ma anche per la loro eredità biologica.
L’uomo è l’erede della ricchezza e del potere del Drago, come ampiamente dimostrato nel mito di Sigurd e Fáfnir. Come afferma Paul MacLaine nella teoria dei tre cervelli “Il cervello umano è il risultato di interconnessioni di aree cerebrali comparse in diversi momenti della fase evolutiva”.
Le attività automatiche per il mantenimento dell’omeostasi del corpo, vengono controllate da uno di questi tre, definito cervello “rettiliano” (tronco dell’encefalo). Quest’ultimo è la sede degli istinti primordiali, della conquista e della difesa, attacco/fuga, della territorialità, della conquista, della gerarchia sociali.
Quest’area è ben rappresentata nei rettili. Il Drago quindi non significa coscienza stessa, ma quel mostruoso potenziale primordiale che fa nascere la coscienza, il cui potere è ancora avvolto nel profondo.
Mitologicamente, il mondo è stato formato dal corpo del drago primordiale Tiamat e gli esseri umani sono scaturiti dalle goccioline di sangue demoniaco versato in quel conflitto di proto-dei.
Alla stessa maniera il mito di Ymir, nella sua creazione cosmologica, anche se non è effettivamente un drago ma uno Jötunn, aggancia la natura occulta di questi elementi che sono propri del popolo Vanico.
Molti miti sui draghi nascondono grandi segreti iniziatici. Vedi Fafnir.
Una magia Draconiana non è specifica del pantheon, i volti e le identità effettive delle divinità invocate dipendono quindi in gran parte dall’affinità, dall’impronta estetica e culturale/genetica del singolo praticante.
In tutti i casi, tuttavia, si troverà che tre principali archetipi o Forme predominano all’interno del processo iniziatico draconiano e nessuno di questi può essere escluso con sicurezza dal Lavoro.
La prima di queste Forme è il Signore delle Tenebre, il Dio della Coscienza.
La fiamma nera.
La seconda forma è la donna scarlatta, la dea del desiderio.
La terza forma è il serpente, la forza per la rievocazione.
Da qui L’evoluzione ed il risveglio del Daemon.

Per approfondimenti:
Laugrith Heid, La Stregoneria dei Vani, Anaelsas edizioni.
Laugrith Heid, Kindirúnar, Le Rune della Stirpe, Il Grimorio Necromantico, Anaelsas edizioni.
Laugrith Heid, Rún, i tre aspetti di una Runa, Anaelsas edizioni.
Laugrith Heid, Helvíti Svarturgaldur, Manuale pratico di Opera Necromantica Nord Europea,
Anaelsas edizioni.
Laugrith Heid, TröldR: il Fjölkynngisbók. Magia, Stregoneria e Folk Nord Europeo, Anaelsas edizioni.
ENG
Apophis’ journey among the dragon archetypes
The journey to rediscover the true essence of the Dragon is an uncomfortable experience for many and terrifying for most people.
Show aspects of themselves in the darkest way, often aspects they would rather not recognize. But self-knowledge and self-integration are the only real keys to doing this.
The Universe, as Kelly defines it, is a magnificent playing arena in which the Self can express and develop its own unique and indissoluble essence in an ever-expanding cycle of Remanufacturing.
This cyclical event opens the doors to a fundamental concept, that of Ragnarök. The first thing the Initiate learns in the traces of M. Kelly’s Apophis text is that he actually knows almost nothing about himself.
Personality is a mixture of parental and social conditioning, shaped and reshaped by the media, advertising and selective education. The student’s first tasks are to remove accumulations to finally reveal their pristine core.
This self-revelation process is the first opening of the Leviathan’s Eye, learning to see things – and especially oneself – like them. A wonderful connection to the Hegelian conception of the manifestation of the spirit, in which the perception of ideas in itself, for itself and outside of itself, opens the first step of controlling the pulsations in sublimation with the external world.
Why dragons?
Because of their mythology and their enduring images, of course, but also because of their biological heritage.
Man is the heir to the Dragon’s wealth and power, as amply demonstrated in the myth of Sigurd and Fafnir. As Paul MacLaine states in the theory of the three brains “The human brain is the result of interconnections of brain areas that appeared at different moments in the evolutionary phase”.
The automatic activities for maintaining homeostasis of the body are controlled by one of these three, called the “reptilian” brain (brain stem). The latter is the seat of the primordial instincts, of conquest and defense, attack / flight, territoriality, conquest, social hierarchy. This area is well represented in reptiles.
The Dragon therefore does not mean consciousness itself, but that monstrous primordial potential that gives birth to consciousness, whose power is still shrouded in the depths. Mythologically, the world was formed from the body of the primeval dragon Tiamat and humans sprang from the droplets of demonic blood shed in that proto-gods conflict.
In the same way the myth of Ymir, in his cosmological creation, even if he is not actually a dragon but a Jötunn, engages the occult nature of these elements which are proper to the Vanic people. Many myths about dragons hide great initiatory secrets. See Fafnir.
A Draconian magic is not specific to the pantheon, the faces and actual identities of the invoked deities therefore largely depend on the affinity, aesthetic and cultural / genetic imprint of the individual practitioner.
In all cases, however, three major archetypes or Forms will be found to predominate within the draconian initiatory process and none of these can be safely excluded from the Work. The first of these Forms is the Lord of Darkness, the God of Consciousness. The black flame.
The second form is the scarlet woman, the goddess of desire.
The third form is the snake, the force for re-enactment. Hence the evolution and awakening of the Daemon. Translation by Federico Pizzileo
For more informations: Laugrith Heid, La Stregoneria dei Vani, Anaelsas edizioni.
Laugrith Heid, Kindirúnar, Le Rune della Stirpe, Il Grimorio Necromantico, Anaelsas edizioni.
Laugrith Heid, Rún, i tre aspetti di una Runa, Anaelsas edizioni. Laugrith Heid, Helvíti Svarturgaldur, Manuale pratico di Opera Necromantica Nord Europea, Anaelsas edizioni. Laugrith Heid, TröldR: il Fjölkynngisbók.
Magia, Stregoneria e Folk Nord Europeo, Anaelsas Edizioni

Ivano Comi, ossia, costruzione e decostruzione del Dandy.

a cura di Umberto Mori

 Tra il settembre 2016 e il marzo del 2017, ebbi modo di conversare amabilmente per via telefonica con il grande Ivano
Comi(1953-2018). Difficile spiegare, soprattutto a posteriori, chi fosse Ivano, uomo di grande mistero e di grande sensibilità protesa assolutamente verso il Bello. Il mistero, in primis, perché pochissimi ebbero modo di conoscerlo dal vivo e anche perché a malapena si sa che espletava il lavoro di medico, non chiedetemi specializzato in cosa perché non lo so. Si mostrava assai poco in pubblico, gli piaceva esser così, tanto da esser considerato il maggior esperto italiano in materia di Eleganza e di Stile maschile classico, fatto questo convalidato dai numerosi libri che dedicò alla figura del “Dandy”. Tra questi ricordo con piacere: “Alfabeto lapidario dell’uomo elegante”(1999), “Conversevole week-end sull’eleganza maschile”(2000),  “Universo figurato di un Dandy”(2004), “Il periglioso osare nell’ineffabile, dieci
fazzoletti per un Dandy”(2005), “George Bryan Brummell”(2008), “Il Dandy e il blu”(2008), “Un Dandy in rima”(2009) e “Breve riflessione sul Dandy e sul Samurai”(2014), quest’ultimo molto interessante, in quanto fornito di un’accuratissima ed estesa Bibliografia finale. Va precisato che tutti i libri di Comi, sono a tiratura limitata e di prezzo non accessibile a tutti. Va anche aggiunto che Ivano amava oltreche’ la figura del “Dandy”, le lame d’acciaio, le armi bianche e i cavallucci marini, tanto da dedicare a tutto ciò i seguenti libri:”Armi bianche corte contemporanee a lama fissa e a lama mobile”(1992), “Scienza e mistica del damasco contemporaneo”(1994), “Acciaio damasco: la
tradizione orale nella pratica di forgia”(1996) e “Breve scritto sull’ippocampo”(2003). Quindi, sicuramente una personalità assai eccentrica e stravagante, ma con la quale si interloquiva, amabilmente.
Ricordo che una volta, disquisimmo per almeno un’ora e mezza al telefono, a proposito della “pochette”, prezioso emblema estetico, consistente in un fazzoletto da taschino, quello da inserire, nella parte anteriore sinistra della giacca da uomo. Ebbene, lui mi disse che nonostante oggi esistano tantissime “pochette” di ogni forma e dai colori sgargiantissimi, la più pertinente di tutte rimaneva per lui quella di colore bianco.
Ivano Comi, che viveva presso Civenna di Bellagio, zona interna del comasco, presso una lussuosa e principesca Dimora, come abbiamo visto, ebbe cara per tutta la sua esistenza la figura del “Dandy”. Nella
biografia su Brummell, il quale mi disse subito, non fu mai “Lord”
bensì, soprannominato “Beau”, “Bello”, quindi “Bel Brummell” e che il suo cognome doveva essere scritto con 2 “l” finali e non con 1 come scrivevano tutti, Comi traccia un’ accurata e certosina etimologia della parola “Dandy”. Vediamola insieme:                       
1) Derivazione dalla canzone “Yankle Doodle Dandy”, cantata nelle colonie americane nel XVIII secolo.                         
2) Derivazione da una frase, “Jack O’ Dandy” del 1632.                                           
3)Derivazione dal francese “Dandin”, ossia “Cialtrone perditempo”.         
4) Derivazione dalla parola germanica “Tandeln” ossia “Perdere tempo” e anche dalla parola inglese “Dandle”, ossia “Cullare”, “Vezzeggiare”.                   
5) Derivazione da una parola uguale usata in Scozia nel XVIII secolo.                 
6) Nickname del nome “Andrew”. A mio avviso la più certa.                                     
7) Derivazioni, comunque  meno accreditate di tutte, vogliono l’origine di questa parola da “Dandiprat”, moneta in disuso, e da “Dandelyon” o anche “Dandelion”, dente di leone.                         
8) Presente in alcuni dizionari nel 1780, ove è chiarito che trattasi di un termine di significato incerto, presente in alcune canzoni popolari scozzesi.                         
9) Tale, Maud Sacquard de Belleroche in suo libro “Du Dandy au play boy”, afferma che il termine “Dandy” era già piuttosto frequente in Inghilterra all’inizio del XIX secolo.
Nel suo libro su Brummell, Comi ci parla anche di molti “Dandies” che vissero dopo “Beau Brummell”(1778-1840), tra questi ricordiamo: Charles Pierre Baudelaire (1821-1867), il quale disse che: “Il Dandy deve aspirare a essere sublime senza interruzione; deve vivere e dormire di fronte a uno specchio”, Jules Barbey d’Aurevilly(1808-1889), Jorys-Carl
Huysmans(1848-1907), autore del famosissimo “A’ rebours”, Oscar Fingal
O’Flahertie Wilde(1854-1900), che non ha certo bisogno di presentazioni,
il conte Robert de Montesquiou-Fezensac(1855-1921), grande estimatore
dei pipistrelli, ai quali dedicò un libro di poesie e naturalmente Gabriele d’Annunzio(1863-1938), il quale con i suoi famosissimi abiti su misura, ridefinì in modo ineccepibile la figura dell’Arbiter Elegantiarum. Va infine detto che l’aver esaltato, elevato e strenuamente difeso l’immagine del “Dandy” per tutta la vita, il paradosso volle che Comi, nell’ultimo suo libro,”Il crepuscolo del Dandy e la decostruzione del suo falso mito”(2016), fini’ per annientare ciò
che aveva sempre amato. Chissà perché? Gliene chiesi spiegazione durante la nostra ultima telefonata e mi rispose che la vita è fatta di accettazioni e di negazioni, in fasi alterne e continue. Sia come sia, grazie Ivano, per tutti i doni meravigliosi che ci hai lasciato. In fatto di Eleganza e Stile, non possono che renderci persone migliori!
Grazie ancora! Per tutto!                                           
Umberto Mori